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Il riciclo in cucina e l'arte di mangiar bene

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maurizio artusi-miniQuella che segue è la prefazione che Concetta Bruno, Presidente dell'associazione ComeUnaMarea Onlus, mi ha invitato a scrivere per il libro "I Cuochi Ricicloni, Ricette Sostenibili da Giocare in Cucina” (Edizioni Offset Studio) sull'argomento del food recycle. Il manuale del riciclo e della buona cucina è scaturito da un progetto innovativo nel campo della comunicazione culinaria per i bambini dai 6 ai 14 anni. Il concept, originariamente creato in occasione della giornata SERR 2015 - Settimana Europea sulla Riduzione dei Rifiuti - è stato ampliato in modo tale da offrire un piccolo manuale creativo con utili informazioni su nutrizione, stagionalità degli alimenti, dieta mediterranea e contro lo spreco alimentare. Inoltre, il manuale propone un percorso di ricette, dagli antipasti ai dolci, in cui utilizzare parti degli alimenti che solitamente ed erroneamente vengono cestinati. Grafica, illustrazioni e linguaggio utilizzati sono interamente orientati ai piccoli fruitori, destinatari del libro, i quali potranno divertirsi in cucina con parenti, nonni ed amici, facendosi essi stessi promotori della buona e sana cucina.

ICuochiRicicloni 02Il libro è stato presentato ufficialmente il 17 Marzo 2016 alle ore 17, presso il Mondadori Multicenter di Palermo, durante un incontro che ho personalmente condotto insieme alla già citata Concetta Bruno, il Maestro di Cucina e Pastry Chef Salvatore Cappello, lo Chef Gioacchino Sensale, Maestro di Cucina e assistente presso l’IPSSEOA Mursia, il nutrizionista Massimiliano Avila, la responsabile del progetto Elisabetta Costantino e l’illustratore e creatore del concept grafico Andrea De Luca. La stampa del libro è stata realizzata grazie alla disponibilità della Tipografia De Luca e della Offset Edizioni di Angelo Serraino di Palermo. Una parte dei proventi del libro sarà devoluta a favore delle donne haitiane per l'acquisto di un essiccatore per la farina di manioca. Il libro è disponibile subito presso l'associazione ComeUnaMarea Onlus (tel. 091-2738624 come1marea@libero.it), su EBay.it e presto anche su Amazon.it. Buona lettura.

Prefazione de "I Cuochi Ricicloni"

ICuochiRicicloni 01Mi occupo di enogastronomia da sempre, ma in modo più approfondito dal 2002 e dal 2009 ne scrivo sul mio sito web CucinArtusi.it, svolgendo la mia attività di promozione degli alimenti siciliani di qualità. Come ho cominciato? Aprendo il frigorifero e cercando di mettere armonicamente assieme quello che trovavo: chi tra di voi, appassionato di fornelli, non ha almeno una volta preparato il cosiddetto "grattò", termine sicilianizzato derivante dal più nobile corrispondente francese "gateau", grazie ad un po' di economiche patate? Ecco un modo intelligente per poter riutilizzare tutto ciò che si trova, anche se a volte non è più freschissimo!

E' questa l'immagine che ha attraversato la mia mente quando mi hanno proposto di scrivere questa prefazione, sicuramente non perchè avessi meriti speciali sull'argomento, in fin dei conti noi meridionali l'abbiamo nel sangue il riciclo degli alimenti, ma più probabilmente mi piace pensare che me lo abbiano proposto per la passione che mostro quando scrivo e mi occupo di enogastronomia.

Tornando sull'argomento, le ricette tradizionali del nostro Sud sono piene zeppe di esempi che potrebbero ben figurare in questa pubblicazione, dopo il "grattò" potrei menzionare alcune versioni di "brociolone" o "polpettone" che dir si voglia, e si potrebbe continuare a lungo citando tanti altri piatti.

In sostanza, voglio far capire al lettore, che questa pubblicazione non vuole e non deve essere solo un ricettario, ma un pratico ausilio che affonda le sue radici nella vita di tutti i giorni, almeno di coloro che si dilettano ai fornelli. Infatti, esso è ricco di utili informazioni e tabelle che ci possono dare una mano a capire come alimentarci meglio e riciclare autonomamente, fornendoci idee e stumenti per poter creare le nostre nuove ricette riciclone. Questo connubio tra ricette e consigli pratici, mi ricorda un ben più blasonato e conosciuto libro, pubblicato a Firenze nel 1891 da Pellegrino Artusi, si tratta de "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene", anch'esso toccava l'argomento del riutilizzo in cucina e dava consigli pratici ai novelli cuochi proprio come se fosse un manuale, quindi, parafrasandolo, "I cuochi ricicloni" potrebbe addirittura diventare, perchè no, "Il riciclo in cucina e l'arte di mangiar bene".

"I cuochi ricicloni" si rivolge ai ragazzi dai 6 ai 14 anni, un'età in cui è più facile apprendere. A loro io raccomando di iniziare sin da adesso ad approfondire il proprio cibo perchè capire non è mai una perdita di tempo, se poi l'argomento è ciò che utilizziamo per alimentarci, è ancora più importante conoscerlo a fondo, poichè da esso dipende la nostra salute, prima da ragazzi e poi da adulti. Non abbiate timore della materia trattata in queste pagine, lo staff che lo ha ideato l'ha esposta in modo chiaro e comprensibile a tutti, affrontando argomenti importanti come se fossero dei giochi, ed in effetti i giochi ci sono davvero!

Ai genitori, invece, in questo caso indispensabili "partner" dei giovani cuochi ricicloni, chiedo di promuovere il libro e di assistere i propri figli in cucina, nonchè di impiegare qualche minuto del proprio tempo per riflettere sugli alimenti che acquistano e che poi portano in tavola; ebbene, troppo spesso ci scordiamo di stagionalità e genuinità, inoltre, troppo cibo finisce nella spazzatura solo perchè è facile comprarne di "fresco": una pratica che viene agevolata dal consumismo e dalla cronica mancanza di tempo che oggi ci perseguita. Su queste cattive abitudini siamo tutti d'accordo, ma in pratica non facciamo nulla per cambiarle, stavolta però, grazie ai nostri figli, potremmo cogliere l'occasione per pensare non solo ad un minor spreco, ma soprattutto a migliorare la nostra salute di oggi e di domani, adottando un'alimentazione più sana per noi e per i nostri cari. In questo, la lettura della presente pubblicazione, vi darà sicuramente un grande aiuto.

Ne "I cuochi ricicloni" si parla anche dell'onnipresente "dieta mediterranea", saggia abitudine da introdurre nella nostra alimentazione, ma su di essa mi preme precisare qualcosa che puntualmente si trascura. Il W.C.R.F. (World Cancer Research Fund) e l'Istituto Tumori di Milano, giusto per citare due importanti enti di ricerca medica, hanno emanato le direttive sull'alimentazione da impiegare come strumento di prevenzione dei tumori: in dettaglio, essi consigliano una "dieta mediterranea", cercando di mantenere basso l'indice glicemico dei cibi, cioè quell'indicatore che misura la velocità di assorbimento di carboidrati e zuccheri semplici da parte del nostro organismo, attuabile scegliendo alimenti poco raffinati. Alla luce di queste autorevoli direttive, devo rettificare la comune "dieta mediterranea", proponendone una versione con alimenti quanto più grezzi possibile, riferendomi principalmente a cereali e legumi, purtroppo oggi molto difficili da trovare al "naturale". Pertanto, si dovranno evitare le farine raffinate, sostituendole con quelle molite a pietra, preferire orzo, farro ed altri cereali e legumi nella versione non perlata e non decorticata, quindi con la parte esterna del chicco intatta e così via. Infine, se è vero che "noi siamo quel che mangiano", lo stesso concetto dovrà essere applicato alle carni e i prodotti derivati del mondo animale, scegliendo quelli con un'alimentazione più naturale possibile. Solo così si potrà rispettare la vera dieta mediterranea, quella che ha preservato da tante malattie moderne i nostri avi.

Infine, considerando il quartiere della città di Palermo in cui questo progetto si è sviluppato, coinvolgendo scuole che vivono intensamente un ambiente ad alto tasso di multiculturalità, esso potrebbe tramutarsi non solo in un un bel gioco, ma anche in un'occasione per riciclare "diversamente", facilitando lo scambio di saperi e di sapori fra le cucine dei popoli di Sicilia.

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L'APCPPA ai Campionati della Cucina Italiana 2016

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APCPPA Cucina2016 01Straordinario il risultato ottenuto dall'Associazione Provinciale Cuochi e Pasticceri di Palermo ai "Campionati della Cucina Italiana 2016", organizzati dalla Federazione Italiana Cuochi a Montichiari (BS) dal 18 al 21 Marzo nell'ambito della Fiera "Vita in Campagna".

A questo prestigioso appuntamento dove, nelle discipline internazionali da concorso di cucina e pasticceria, il livello delle competizioni era molto alto, la giuria ha conferito il titolo di "Campione d'Italia Senior Cucina Calda individuale Categoria K3, (pastry art) alla Pastry Chef Sarah Cucchiara, attuale capitano del Culinary Team Decorators and Pastry Palermo.

APCPPA Cucina2016 02Altro importantissimo risultato nella categoria junior della cucina calda categoria K3 (pastry art) è stato conseguito dal talentuoso allievo Antonio Ingrao che ha vinto la medaglia d'oro con menzione presentando un dessert di ristorazione "denominato "sintonia di cioccolato". Alla luce di questa performance il direttivo lo ha selezionato per entrare a far parte della Nazionale Italiana Cuochi Junior.

Bene anche il socio Tony Gianguzzi che nella categoria cucina calda individuale categoria K3 (pastry art) ha vinto la medaglia d'argento.

Al socio Antonella Di Garbo è stato consegnato il Diploma di Merito nella cucina calda categoria individuale senior K2 (cucina regionale).

APCPPA Cucina2016 03Protagonisti nella competizione sono stati anche gli allievi provenienti dall'IPSSEOA "Pietro Piazza" di Palermo accompagnati dal professore Rosario Picone e dall'assistente Giovanni Vernengo. La medaglia d'argento è andata a Roberta Musso nella categoria individuale della cucina calda categoria K3 (pastry art), per la stessa categoria agli allievi Giusy Sardisco e Ivan Carlino gli è stato consegnato il Diploma. L'allievo Alessio Vittorino nella categoria individuale juniores della cucina calda (cucina regionale) K2 ha conseguito il diploma di merito.

Anche gli allievi provenienti dall'Istituto Alberghiero "Danilo Dolci" di Partinico si sono distinti ai campionati nazionali: Filippo Salamone, nella categoria artistica salato D1 ha vinto la medaglia di bronzo mentre all'allievo Antonio Appresti è stato conferito il Diploma nella categoria cucina calda k1.

Foto Giovanni Vernengo

Il Segretario APCPPA
Rosario Seidita

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Popolo e Signori in Sicilia, stanno insieme a tavola

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Cucina siciliana di popolo e signoriMartino Ragusa, scrittore, autore ed enogastronomo originario di Agrigento, nel suo nuovo libro "Cucina Siciliana di popolo e signori" pubblicato da Edizioni Momenti, è riuscito a far sedere attorno alla stessa tavola due classi sociali notoriamente agli antipodi. C'è riuscito grazie ad un certosino lavoro di approfondimento di ben 216 ricette della tradizione siciliana, raccolte durante tutta la sua vita, riorganizzate in circa 10 anni e cucinate nonchè fotografate da lui stesso in poco più un anno e mezzo. Un'opera che sicuramente ha la valenza di mettere un punto fermo sulla situazione attuale della gastronomia siciliana.

Una peculiarità di questa raccolta di ricette è la breve introduzione che ognuna di esse ha, in questo Martino mi ha tanto ricordato Pellegrino Artusi, prolisso descrittore di procedimenti ed ingredienti. Il libro è organizzato in sezioni che contengono le categorie dei piatti: Antipasti, Primi asciutti, Primi in brodo, minestre e zuppe, Secondi di pesce, Secondi di carne, Uova, Contorni, Pizze e cibo da strada, Salse e preparazioni speciali, Dolci e dessert. Alcune ricette, definite innovative dall'autore, sono state inventate dallo stesso, a volte variando alcuni ingredienti rispetto alle tradizionali oppure riportando un versione familiare.

Martino RagusaMartino però non si è limitato a scrivere e provare le ricette, poichè nella prefazione del libro ha affrontato ed esposto alcune sue teorie in merito alla cucina siciliana. Come aveva già fatto in passato nel suo precedente libro "Manifesto della cucina italiana", in cui partendo dalla realtà secondo la quale la cucina italiana non esiste, egli si è divertito a cercare dei caratteri comuni nelle ricette della penisola. Però, la forza della nostra cucina sta proprio nella sua mancanza di codifica e quindi nella estrema diversificazione che la vivacizza continuamente, anche grazie alla complicità della biodiversità agroalimentare italiana. Con questo sua nuova opera, Martino non ha resistito alla tentazione di cercare anche nella cucina siciliana una serie di ingredienti e abitudini comuni, operazione secondo me ancora più ardua perchè sull'isola convivono tradizioni e filosofie gastronomiche completamente diverse tra di loro, notevolmente complicate dalle influenze subìte in seguito alle numerose dominazioni che si sono succedute nel corso dei secoli. Spostandosi dalla Sicilia Orientale a quella Occidentale, passando per il centro, queste diversità si possono toccare con mano, ma soprattutto con il palato, basterà solo considerare che da una zona di pregressa influenza greca si passerà ad un'altra che è stata di appannaggio degli arabi oppure basterà pensare alle differenze tra cucina di montagna e quella di mare! Esattamente come avviene per le culture presenti tra il popolo siciliano, anche nel campo delle pietanze l'estrema varietà è ulteriormente variegata dalla biodiversità agroalimentare presente nell'isola, molto più di quanto accade nel resto d'Italia. Se, invece, la comunanza si intende come diffusione di alcune ricette conosciute da tutti, anche se poi realizzate con le opportune varianti, allora in effetti possiamo attribuire a Martino la paternità anche di questo "manifesto della cucina siciliana".

L'autore però non si ferma al tentativo di uniformare la cucina siciliana, ma traccia un percorso storico-culturale tramite il quale è possibile spiegare la genesi di numerose ricette, nate dalla continua osmosi tra la tavola del popolo e quella dei signori dal quale addirittura scaturisce il titolo del libro. Ad esempio, le "sarde a beccafico", con la tipica coda all'insù, nascono dall'esigenza povera di simulare gli uccelletti, cibo di esclusivo appannaggio dei ricchi, ma si potrebbe continuare con la "pasta con le sarde a mare", in cui delle sarde c'è solo il ricordo, poichè in alcuni ambienti sociali anche quelle erano troppo costose!

In conclusione, questa lavoro di Martino Ragusa costituisce un'importante "testo" da consultare, ma anche da leggere attentamente per coloro che volessero compiere un viaggio gastronomico virtuale in Sicilia, nello spazio e nel tempo, quindi interessando contemporaneamente sia chi si diletta ai fornelli e sia chi vuole approfondire la cultura siciliana. Un lavoro unico nel suo genere, se consideriamo i libri di ricette pubblicati negli ultimi decenni, sul quale bisogna soffermarsi non tanto per il profumo delle pagine, ma sicuramente per assaporare l'antico cesello di chi è organico ad una cultura gastronomica tra le più importanti del mondo.

 

Degustazione AIS vini IRVOS Por-Fesr 2007-2013

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DegustazionePorFesr2016 01Lo scorso 18 Marzo 2016, presso l'NH Hotel di Palermo, si è svolta una degustazione organizzata dall'AIS avente come oggetto ben 10 vini sperimentali scaturiti dalle ricerche scientifiche dell'IRVOS finanziate con i fondi Por-Fesr 2007-2013 e condotte dal biologo Daniele Oliva insieme all'agronomo Antonio Sparacio, entrambi in forza presso il già citato istituto.

L'evento è stato per me l'ovvio compendio ad un mio articolo risalente a circa un anno fa in cui ho raccontato il meritorio lavoro svolto da Daniele, ma non starò qui a tediarvi con l'elenco degli obiettivi previsti dal bando Por-Fesr, ne ho già parlato abbondantemente nell'articolo citato, piuttosto preferisco raccontarvi i vini che ho assaggiato e di come potrebbero cambiare il nostro modo di approcciare una bevanda ormai, secondo me, troppo omologata a stereotipi gustativi che sarebbe meglio abbattere e rinnovare se non si vuole causare in futuro una riduzione di consumi e di gradimento del consumatore, soprattutto di quello più evoluto.

A questo punto, cari amici appassionati di vino, occorre una premessa, perdonatemi se sto per far entrare la birra artigianale nei santuari costituiti dai vostri bicchieri, ma le analogie, come vedrete, sono veramente molte e l'occasione troppo golosa per creare quell'osmosi di concetti che può solo rafforzare due bevande che devono camminare parallele nel periglioso mondo della qualità.

DegustazionePorFesr2016 02Ormai da un po' di tempo la mia attività enogastronomica è conosciuta anche per l'impegno che ho profuso nella promozione delle birre artigianali siciliane, questo mi ha permesso di approfondire una delle bevande più "bio-diverse" del mondo, più ricca di variabili e influenze esterne di qualunque altra poichè legata sia al territorio sia all'estro del mastro birraio, peculiarità che hanno spinto Lorenzo Dabove, in arte Kuaska, considerato il massimo esperto italiano di birra artigianale, a scrivere un libro intitolato "La birra non esiste". Il provocatorio motto del nostro Lorenzo nasce appunto dalle considerazioni che egli, dall'alto della sua esperienza, ha maturato sulla variabilità della bevanda, infatti la birra non esiste perchè più correttamente bisognerebbe parlare "delle birre", al plurale. Le birre, così diverse tra loro, non possono e non devono piacere a tutti, essendo artigianali ognuna di esse non potrebbe mai bastare per un largo pubblico, anzi, grazie a questa variabilità ognuno potrà scegliere quella che più gli piace, trovando quindi quella aderente al proprio gusto. Il vino, purtroppo, da diverso tempo sta invece andando esattamente nella direzione opposta, esso è come una locomotrice avviata alla massima velocità verso la massificazione dei profumi e dei sapori, inseguendo un presunto gusto del consumatore che oggi fa vendere tante bottiglie, ma che non valorizza il prodotto e che in futuro non lo salverà dall'inevitabile diminuzione dei consumi. 

DegustazionePorFesr2016 03In questo scenario vinicolo, quindi, si innestano perfettamente le ricerche dell'IRVOS, principalmente indirizzate a nuovi prodotti senza l'aggiunta di solfiti e tramite l'impiego in fermentazione di lieviti inconsueti, mai usati prima nel campo del vino e selezionati per l'occasione. Ben 10 etichette di vini sperimentali, tranne il primo che è in produzione, ma non ancora in commercio, hanno fatto toccare con mano, ma soprattutto con naso e palato, i vini diversamente buoni di Daniele Oliva e Antonio Sparacio che hanno illustrato il loro lavoro ad una numerosa platea di appassionati e tecnici del vino intervenuti per l'occasione. Insieme ai due tecnici, non poteva mancare un esperto come Luigi Salvo, delegato AIS Palermo e pluri incaricato nelle giurie mondiali dei concorsi sul vino, una grande risorsa del settore vitivinicolo siciliano che ha brillantemente condotto le degustazioni della serata.

Capitolo 1 - Vini senza solfiti

La soluzioni adottate per questo obiettivo sono principalmente riconducibili nell'isolare le fasi di lavorazione dall'ossigeno impiegando alcuni gas, la CO2 durante la pigiatura, l'argon nei tini e nelle tubazioni, l'azoto per colmare le bottiglie, ma anche di utilizzare dei lieviti che producano pochi solfiti, in modo da abbassare o annullare del tutto anche quella parte naturalmente contenuta nel vino.

1. Catarratto/Grillo 2015 - Solfti < di 10 mg/lt - Cantina Settesoli - (non ancora imbottigliato)
Profumi vari di tropicale, origano, rosmarino, banana, mela cotogna e menta.

2. Nero d'Avola 2014 - Con solfiti - Cantina Nicosia
Inconsueti profumi di menta, banana e ciliegia.

3. Nero d'Avola 2014 - Senza solfiti - Cantina Nicosia
Inizio un po' chiuso con sudore di cavallo, ciliegia, mora, poi grande freschezza, mineralità e note di limone.

Capitolo 2 - Vini con maggior contenuto di glicerolo

Questa ricerca è invece il regno della Candida, ma niente paura, non è quello che voi state pensando, bensì la Candida Zemplinina, un particolare lievito inoculato nella prima fase della fermentazione, poi continuata con i tradizionali ceppi di Saccaromices Cerevisiae. Aumentare il glicerolo in un vino consente di avere più corpo senza aumentare la gradazione alcolica, più concentrazione del prodotto e come vedremo più avanti, anche un impatto gustativo inconsueto e piacevole, vera rivelazione della degustazione.

4. Merlot 2014 - Fermentazione tradizionale - Cantina Primavera
Un Merlot abbastanza riconoscibile con i suoi tipici sentori erbacei.

5. Merlot 2014 - Fermentazione Candida Zen. - Cantina Primavera
Attacco con profumi di peperone, menta, erbe balsamiche varie, solo dopo arriva la frutta rossa, ma la sua forza sta nel palato in cui esso esprime una morbidezza che lo rende suadente, poi arriva la parte erbacea tipica del vitigno utilizzato.

6. Merlot 2014 - Fermentazione tradizionale - Cantina CVA
Sentori di more e spezie

7. Merlot 2014 - Fermentazione Candida Zen. - Cantina CVA
More e frutta rossa, meno morbido rispetto al precedente della Cantina Primavera e con una nota acida che ne migliora la beva.

Capitolo 3 - Tannini non astringenti e vini più longevi

I tannini eccessivamente pronunciati oppure poco arrotondati possono introdurre, anche in un buon vino, delle note sgradevoli, per attenuare questo effetto molto diffuso un'ambito della ricerca vitivinicola in oggetto ha cercato delle soluzioni per annullare o quanto meno diminuirlo. Inoltre, i tannini sono in gran parte responsabili della longevità di un vino, caratteristica importante nel caso di un rosso. Per ottenere il miglioramento di dette caratteristiche, l'attività svolta dall'IRVOS si è concentrata su una serie di tecniche di coltivazione in vigneto e di vinificazione in cantina, ma solo il tempo ci potrà dire se l'obiettivo longevità è stato raggiunto, intanto la degustazione ha fatto emergere come è possibile arrotondare e attenuare l'effetto allappante dei tannini impiegando ad esempio la micro ossigenazione, una tecnica già conosciuta che aumenta di molto le reazioni chimiche che già avvengono velocemente all'interno di una barrique, come in effetti dimostrato nei tre vini degustati per l'occasione.

8. Nero d'Avola 2014 - Affinamento in acciaio - Cantina Colomba Bianca
Menta, erbe balsamiche, tannini un po' aggressivi e ruvidi.

9. Nero d'Avola 2014 - Affinamento in tonneaux - Cantina Colomba Bianca
Menta e tannini più morbidi rispetto al precedente campione.

10. Nero d'Avola 2014 - Affinamento in barrique - Cantina Colomba Bianca
Riedizione del precedente, ma con alcuni sentori di legno evidentemente attribuibili al tipo di affinamento effettuato.

Questo evento è servito a presentare al pubblico intervenuto i risultati di quelle ricerche che potrebbero darci un vino nuovo, anzi che ci hanno già dato, dimostrando come cambiando pochi parametri, ad esempio i lieviti, è possibile dare al prodotto finale un'appeal diverso, compiacendo il consumatore, ma senza alterare la genuinità e gli obiettivi principali di questo straordinario lavoro che è quello di trasformare l'uva in vino.

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Aprire e gestire un ristorante o una pizzeria, ma come?

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Fabio BavieraGirando in lungo e in largo, sempre alla ricerca di prodotti e di locali che siano conformi alle mie aspettative riguardanti la genuinità, ho avuto modo di conoscere diverse realtà, indirizzate o addirittura votate alla qualità, ma troppo spesso, dietro le quinte, ho notato una certa dose variabile di... improvvisazione, ad esempio, l'argomento più sconosciuto in assoluto sembra essere il famigerato "costo per piatto", in pochi sanno cosa è e in pochissimi lo calcolano, nonostante esso sia un parametro importantissimo per gestire al meglio il proprio locale, ma da citare c'è anche l'assenza di comunicazione con il cliente o addirittura la mancanza di un logo identificativo dell'attività commerciale.

Al di la degli enti preposti che dovrebbero colmare queste carenze di conoscenza, sappiamo bene tutti che alla fine, sbrigate le opportune pratiche burocratiche, oggi si può diventare imprenditori della ristorazione non necessariamente conoscendo alcuni temi e comunque, in seguito, si rimane senza un'opportuna guida, in sostanza si impara sul campo.

Per coloro che voglio intraprendere questo difficile mestiere o per chi già lo svolge con più o meno successo e vorrebbe perfezionarsi, c'è finalmente un pratico ausilio costituito dal volumetto intitolato "Easy food & beverage manager". Il libro, impostato con l'approccio del manuale, ottimo per essere consultato e facile da leggere poichè scritto in modo semplice e quindi comprensibile da tutti, è stato ideato da Fabio Baviera, imprenditore del settore nella provincia di Ragusa e oggi consulente nell'area della Sicilia orientale. I molteplici argomenti affrontati dal libro, come HACCP, costo del piatto, consigli sulla scelta del logo, organizzazione della sala e della cucina, franchising, tecnologia degli alimenti, immagazzinaggio, primo soccorso, sicurezza sul lavoro, servizio in sala, marketing, turismo e tanto altro, stanno alla base di qualsiasi ristorante o pizzeria e dovrebbero essere noti a tutti gli imprenditori del settore, purtroppo però non sempre ciò si verifica, da qui la necessità di colmare le immancabili lacune con questo ottimo lavoro di Fabio pubblicato dal suo editore Maurizio Vetri di Enna.

FabioBaviera 01Il profilo di Fabio Baviera è quello classico di un individuo che si è fatto da se: dopo il diploma magistrale per lui è iniziata la classica gavetta in cucina, poi continuata in sala, prima come cameriere e poi come maitre, ed infine sfociata nella professione/passione di pizzaiolo. Il suo perfezionamento si è realizzato con il conseguimento del diploma di food & beverage manager e poi di pizzaiolo, oggi è infatti consulente per le aziende di ristorazione, organizza corsi di food & beverage ed è anche istruttore pizzaiolo artistico. Il libro è nato proprio dalla necessità di riorganizzare i suoi appunti, impiegati nei corsi, mentre invece la scelta della sfavillante copertina arancione ha la sua origine nella necessità di richiamare il colore degli antociani, sostanze antiossidanti contenute in alcuni alimenti con peculiarità antitumorali, infatti una parte del ricavato proveniente dalla vendita del volumetto sarò devoluto all'AIRC, decisione presa dopo un grave lutto in famiglia.

Il libro si può trovare facilmente nei principali canali internet ad esso dedicati, come Amazon o IBS, lo si può quindi acquistare sia in formato cartaceo che in digitale, ma con ogni versione convenzionale si ha anche diritto a riceverne una copia in formato PDF, basterà richiederla sul sito dell'editore, soluzione molto comoda per poter avere sempre con se sul proprio smartphone il pratico manuale. Nel futuro di Fabio Baviera, oltre ad una ristampa del libro per le inevitabili correzioni ed ampliamenti, c'è l'originale trovata di realizzare un matrimonio tutto a base di pizza, se lo assaggerò vi relazionerò sicuramente.

 

Il Pistacchio della Valle del Platani

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PistacchioVallePlatani2016 01La Sicilia possiede un'infinità di risorse nel campo naturalistico, dei beni culturali, delle tradizioni enogastronomiche e dell'agroalimentare, un patrimonio che oggi sempre di più fa gola al turista. E' finito il tempo del turismo di massa, il viaggiatore 2.0 è cablato con il web, informato, esigente e si muove da solo o in piccoli gruppi, ma sono ancora relativamente pochi gli operatori del settore che lo hanno capito, e purtroppo ancor meno al sud. Da ciò si evince facilmente che alcuni territori potrebbero facilmente raggiungere uno sviluppo economico attingendo esclusivamente alle proprie risorse, come ad esempio sta accadendo con il cosiddetto "turismo esperenziale", creato quasi per caso da Pierfilippo Spoto a Sant'Angelo Muxaro (AG), termine che a lui non piace, ma che comunque identifica un rapporto del turista con il territorio diverso dal solito. In questo scenario non può che inserirsi prepotentemente l'agroalimentare, argomento oggetto di un'indagine voluta dell'Assessorato Regionale al Turismo alcuni anni fa, da cui è scaturita la consolidata abitudine del viaggiatore di tornare a casa con un souvenir prevalentemente enogastronomico. A questo punto, qualcuno potrebbe parlare di "volano", turistico-enogastronomico e viceversa, sicuramente un ottimo argomento di sviluppo economico, ma non dobbiamo comunque dimenticare che in Sicilia l'agroalimentare potrebbe sostenere da solo tutto un territorio, con o senza l'ausilio del turismo, ma soprattutto senza l'intervento delle amministrazioni pubbliche, se non come avallatori e coadiutori.

PistacchioVallePlatani2016 2Secondo me, quest'ultimo è proprio il caso della Valle del Platani, fiume che nasce in prossimità del paese di Castronovo (PA) e che arriva fino a Cattolica Eraclea (AG), lungo il quale insiste gran parte della cosiddetta "strada dei formaggi", foriera di eccellenti prodotti, cito solo come esempio, Salvatore Passalacqua con la sua Tuma Persa ed il Fiore Sicano o Fior di Garofalo dalla contrada in cui viene prodotto, ma anche Liborio Mangiapane, produttore di un caciocavallo con solo latte di razza Modicana che alimentata in modo naturale sviluppa delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali uniche nel suo genere, ma soprattutto un prodotto della terra chiamato Pistacchio della Valle del Platani sul quale tra poco mi focalizzerò meglio, finora molto poco associato a quel territorio in cui insiste anche Raffadali (AG), i cui frutti sono già più noti.

Si pensa che il pistacchio fu portato dagli antichi greci fin nell'entroterra agrigentino grazie all'allora facile navigabilità del fiume Platani, alberi che oggi in quella zona è facile trovare secolari e che producono un frutto dalle caratteristiche nutrizionali e organolettiche particolari, ma solo a patto di coltivarle sulle pendici dei monti che si affacciano su quel fiume da dove, tanti secoli fa, arrivarono in Sicilia. Una sorta di valle di eccellenza in cui al sole brillano i campi di grano ed i piccoli fruttini che qualcuno ha chiamato "oro verde", mutuando il nome dal tipico colore intenso esterno ed interno che il pistacchio siciliano presenta, ma io aggiungerei anche per le caratteristiche nutrizionali che lo pongono accanto all'olio extra vergine d'oliva, come vedremo più avanti.

PistacchioVallePlatani2016 03E' risaputo come dalle difficoltà spesso nascono delle soluzioni brillanti, infatti, tra il 2010 ed il 2011 i coltivatori di pistacchio della Valle del Platani, di fronte ad un progressivo aumento delle difficoltà di coltivazione si sono ritrovati di fronte al bivio tra dover estirpare i pistaccheti per il poco reddito generato dall'abbassamento della produttività, dei prezzi troppo bassi praticati da commercianti senza scrupoli e dalla biannualità dei frutti, oppure di continuare cercando di risolvere le problematiche. Qualcuno di questi, ma ne citerò solo due perchè li ho conosciuti personalmente in quanto ricoprono due importanti incarichi in questa storia, Marcello Di Franco e Salvatore Di Sciacca, si sono improvvisati promotori di una richiesta di aiuto e know-how presso l'Università di Catania con il fine di risollevare le sorti dei pistaccheti della zona. Nel giro di pochi anni la produzione è ripresa, ma fatto molto importante, quel manipolo di coltivatori, che considerando le abitudini siciliane verrebbe di definire eroico, dopo aver percorso questo tratto di strada insieme hanno deciso di costituirsi in associazione. Tutto ciò potrebbe essere un epilogo, invece è solo un prologo di ciò che pochi uomini di buona volontà hanno già creato, con prospettive molto rosee, costituendo l'Associazione Pistacchio Valle del Platani.

Pertanto, lo scorso 29 Maggio 2016, mi sono recato in quel di San Biagio Platani (AG), noto per la sua tradizione panificatorie e per i suoi suggestivi "archi di pane", ma non ancora per il suo ottimo pistacchio, al fine di incontrare Marcello Di Franco, Presidente dell'associazione ed il suo vice Salvatore Di Sciacca. Il quadro emerso ve l'ho già descritto nella lunga premessa di apertura del presente articolo, ma ho cercato di fare di più video-intervistando Marcello, che gentilmente mi ha raccontato storie e progetti dell'associazione.

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PistacchioVallePlatani2016 07Un punto importante a favore del Pistacchio della Valle del Platani, utile per la promozione e la nostra salute, è costituito dalla scoperta delle sue proprietà nutrizionali, frutto di una serie di fattori concomitanti. Il Dott. Gaetano Caldara, responsabile di 6 laboratori biomedici presso l'Università di Palermo, originario di San Biagio Platani e appassionato di storia e filosofia, durante le sue letture ha trovato testimonianze della coltivazione del pistacchio nella Valle risalenti al '700, così ha pensato di proporre il piccolo frutto come oggetto di una ricerca scientifica in ambito nutrizionale-salutistico all'interno di un progetto in corso di finanziamento che in quel momento la Prof.ssa Antonella Amato, docente di fisiologia della nutrizione dell'Università di Palermo, stava programmando. Successivamente è stata coinvolta anche l'Associazione Pistacchio Valle del Platani con alcune aziende produttrici. 

Nel Settembre 2015 sono iniziate le ricerche, i primi risultati del progetto Amato però sono stati ottenuti anche grazie al coinvolgimento del Dott. Vincenzo Ferrantelli dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia. Questi dati sono stati presentati al "Symposium on food safety" svoltosi ad Atene nel Maggio 2016. Essi si riferiscono all'olio estratto dal frutto del pistacchio della Valle del Platani e sono molto confortanti, infatti è emerso che è presente ben il 69,9% di acido oleico, il monoinsaturo che troviamo tipicamente anche nell'olio extravergine di oliva in grado di contrastare l'accumulo di colesterolo nell'organismo umano. Inoltre, è presente anche lo 0,8% di acido palmitoleico un altro monoinsaturo messo in evidenza per la prima volta in un pistacchio, ed anche un buon contenuto di Omega 6, grazie alla presenza dello 0,5% degli acidi grassi arachidonico e linolenico e al 18% di linoleico, tutti e tre interessanti polinsaturi. Infine, completano la composizione lipidica il rimanente 11% dei due saturi stearico e palmitico che però, grazie alla loro particolare struttura, non collaborano all'aumento del nostro colesterolo. Anche sul fronte degli antiossidanti andiamo molto bene, poichè nella cuticola violacea del piccolo frutto risiedono le antocianidine. Da questi dati emerge pertanto un profilo particolarmente interessante riassumibile in due principali punti: il primo aspetto è quello marcatamente nutrizionale e salutistico, il secondo invece apre la strada verso l'ottenimento di un riconoscimento geografico poichè il palmitoleico potrebbe tipicizzare il prodotto legandolo indissolubilmente al territorio. Amato e Caldara però non si sono fermati qui, infatti proseguiranno gli studi per testare gli effetti benefici di contrasto, e quindi di diminuire, il colesterolo nell'organismo animale, degli acidi grassi contenuti nel pistacchio e valutarne l’impatto nel contesto della sindrome metabolica. Lo studio progettato e diretto dalla Prof.ssa Amato ha già ottenuto l'importante autorizzazione da parte del Ministero della Salute, così come prescrivono le leggi vigenti.

La seguente tabellina degli acidi grassi sarà molto utile per riepilogare le proprietà dell'olio estratto dal Pistacchio della Valle del Platani.

69,9% oleico - monoinsaturo
18% linoleico - polinsaturo (omega 6)
9,8% palmitico - saturo (no colesterolo)
1.2% stearico - saturo (no colesterolo)
0,8% palmitoleico - monoinsaturo
0,4% linolenico - insaturo (omega 6)
0,1% arachidonico - polinsaturo (omega 6)

PistacchioVallePlatani2016 06Le caratteristiche organolettiche del Pistacchio della Valle del Platani sono diverse rispetto ad altre varietà siciliane, ma non per questo meno gradevoli, anzi, l'aspetto che più mi ha colpito è stato infatti quello riguardante la sua dolcezza, in contrasto invece con la sapidità di altri molto più noti. Sul fronte del colore invece, ho riscontrato un intenso verde smeraldo all'esterno ed all'interno, caratteristica tipicizzante del pistacchio siciliano, evidentemente il terreno di coltivazione influisce sulle caratteristiche organolettiche ed il germoplasma di comune provenienza mantiene dimensioni e colore.

Approfondendo l'operato dell'associazione, sembra di essere davanti ad un raro caso di virtuosismo cooperativo, ci sono consorzi, in Sicilia, che dopo essersi costituiti non hanno neanche pensato di funzionare per il minimo di quello che dovrebbero, ad esempio accentrando gli acquisti delle materie prime necessarie ai soci per aumentare le quantità ordinate ed abbassare i prezzi, mentre invece, un'associazione come quella di Marcello Di Franco, anche se non specificamente previsto dal suo stato giuridico, lo ha realizzato, consentendo ai suoi membri un risparmio immediato sui costi di gestione della propria azienda agricola.

PistacchioVallePlatani2016 04L'Associazione Pistacchio Valle del Platani ad oggi conta tra i soci ben 40 produttori e 6 trasformatori, un esercito se rapportato ad altre realtà seppur di successo come il Consorzio di Tutela della Vastedda del Belìce che arriva ad 8 membri. In sostanza, l'associazione guidata da Marcello Di Franco ha realizzato la prima di quelle che io chiamo le tre "C", in cui al primo posto, quella più difficile da realizzare, c'è la Cooperazione. Cooperando e associandosi la globalizzazione, da nemica della qualità quale essa appare, può invece diventare una nuova opportunità, bisogna pertanto mettersi assieme per fare la voce grossa, rimanendo piccoli e continuando a produrre qualità, mantenendo così il controllo del prodotto ed imponendo i prezzi. Per quanto riguarda la seconda "C" essa si può identificare con quella delle Certificazioni, anche se io non sono portato ad affidarmici, non si può negare che oggi sul mercato vengano riconosciute e diano valore aggiunto al prodotto. Infine, l'ultima "C" è quella della Comunicazione, bisogna far conoscere, le straordinarie qualità del prodotto ai consumatori per poi poterlo vendere al "mondo". Gli esempi reali ci sono, basta citare il Consorzio di Tutela dell'Arancia di Riberdi Peppe Pasciuta, il Consorzio EuroAgrumi OP di Biancavilla (CT), il già citato Consorzio di Tutela della Vastedda del Belìce del Prof. Massimo TodaroLa Goccia D’Oro di Menfi (AG) che raggruppa centinaia di olivicoltori di quella zona, tutte realtà leader e vincenti nel loro settore, forse perchè hanno attuato queste mie tre "C", sarà un caso?

PistacchioVallePlatani2016 05Nei prossimi progetti dell'associazione c'è l'estensione a tutti i soci del disciplinare di produzione, già adottato dalla maggioranza, nonchè un marchio collettivo ed un aumento della comunicazione tramite azioni di marketing e di promozione del prodotto, mentre è già partito il progetto "adotta un albero di pistacchio", sottoscrivibile tramite il sito web www.pistacchiovalledelplatani.it, tramite il quale si può seguire a distanza la tracciabilità del prodotto, dalla coltivazione al frutto finale. Io però mi spingerei ancora oltre, considerando le peculiarità nutrizionali e organolettiche particolari del Pistacchio della Valle del Platani che sembrano legate alle caratteristiche del territorio costituito dalla valle stessa in cui cresce, si può aspirare ad una DOP o altro riconoscimento geografico. Sulla comunicazione, invece, sempre in base alle attuali ricerche scientifiche, si dovrebbe battere il terreno della promozione puntando sulle peculiarità salutistiche create dall'elevata quantità di acidi grassi monoinsaturi. Il pistacchio del Platani, lo "smeraldo verde" come lo chiama Marcello,  potrebbe quindi costituire un prodotto imbattibile sotto il profilo della qualità, scardinando così ogni possibile concorrenza e guadagnando quel posto che negli ultimi secoli ha perso a favore di altri, diventando elemento di sviluppo economicamente dirompente per il suo territorio, sta adesso a tutti i soci dell'associazione remare verso la direzione attualmente già intrapresa, basterà solo non cambiarla!

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STAL, una laurea in scienze ed enogastronomia siciliana a Palermo

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STAL2016 03Su questo sito web, dedicato all'approfondimento enogastronomico in Sicilia, finora ho recensito prodotti, produttori, locali vari e libri, ma stavolta, sollecitato dal microbiologo Nicola Francesca, mi accingo addirittura a recensire un... corso di laurea e senza neanche averlo frequentato! Mi riferisco al nuovo STAL, una laurea di tre anni in Scienze e Tecnologie Alimentari disponibile dal prossimo anno accademico dell'Università di Palermo con inizio l' 1 Ottobre 2016, ma per le sue caratteristiche particolarmente orientate alla tecnologia ed alla conoscenza dei prodotti, non posso esimermi dal promuoverlo. Le iscrizioni per i test di ingresso si apriranno a Luglio per poi svolgersi a Settembre, il corso di laurea, di tipo triennale, è aperto a tutti, ma attenzione, i selezionati saranno solo 75, l'impegno richiesto non è particolarmente gravoso, però sicuramente è molto vasto in quanto abbraccia numerose discipline. Esso prevede 19 esami riguardanti l'approfondimento di scienze agroalimentari, sicurezza alimentare, nutraceutica, laboratori di gastronomia, analisi sensoriale, stage, viaggi di istruzione, antropologia, semiotica, comunicazione del cibo, biochimica, microbiologia, tecnologia alimentare, biomateriali e ingegneria agroalimentare. Questa vastità di argomenti lascia solo immaginare i possibili sbocchi occupazionali, non necessariamente da svolgere fuori dalla regione Sicilia, come purtroppo spesso capita, ma soprattutto permetterà ad i suoi laureati di avere una visione d'insieme dell'agroalimentare focalizzata in ambito siciliano che abbinata ai nostri straordinari prodotti può essere vincente sul mercato. Infatti, non è un caso che quasi 200 aziende private, tra siciliane e del resto d'Italia, hanno già mostrato interesse alla valutazione dei futuri laureati STAL. Per il piano di studi completo si può consultare la pagina Facebook o il sito internet, oppure contattare direttamente il Dipartimento di Agraria dell'Università di Palermo

STAL2016 01Perchè parlarne su CucinArtusi.it?

Innanzi tutto questo corso di studi, per le sue caratteristiche particolarmente orientate all'enogastronomia, è il secondo in Italia dopo quello di Parma. Inoltre è al Sud, in una regione che non ha nulla da invidiare alle tradizioni del resto d'Italia, in cui si produce ancora cibo abbastanza pulito, senza colture e allevamenti intensivi, una regione che sempre di più sta costruendo il suo futuro agroalimentare basandosi sul proprio passato e che quindi ha sempre più bisogno di esperti con un know-how tecnologico, ma anche enogastronomico, per massimizzare la promozione e migliorare i prodotti.

STAL2016 04Perchè iscriversi?

La Sicilia, in questi ultimi anni, sta vivendo un momento di notorietà enogastronomica all'estero, e per estero intendo anche l'Italia, che forse non ha mai vissuto in tutta la sua millenaria storia, pertanto oggi bisogna assolutamente approfittarne, promuovendo il territorio e coltivando ed esportando i suoi prodotti. Durante gli ultimi 15 anni ho avuto modo conoscere le esigenze dei consumatori, ma anche quelle dei produttori, ciò mi ha permesso di elaborare un mio modello di sviluppo dell'agroalimentare costituito da tre argomenti di cui il comparto in oggetto è sicuramente carente e che ho condensato nelle tre C di Cooperazione, Certificazione Comunicazione. La prima "C" è quindi quella della Cooperazione, associandosi la globalizzazione, da nemica della qualità quale essa appare, può invece diventare una nuova opportunità, bisogna pertanto mettersi assieme per fare la voce grossa, rimanendo piccoli e continuando a produrre qualità. Per quanto riguarda le Certificazioni, anche se io non sono portato ad affidarmici, non si può negare che oggi sul mercato vengano riconosciute e diano valore aggiunto al prodotto. Infine, bisogna Comunicare, far conoscere le straordinarie qualità del prodotto ai consumatori per poi poterli vendere al "mondo", non importa se via e-commerce o con punti vendita in loco, d'altronde Farinetti con Eataly c'è lo ha insegnato, lui lo ha realizzato con successo con i prodotti dell'agroalimentare italiano, noi facciamolo con quelli siciliani: adesso! Siamo già in ritardo.

STAL2016 02Gli esempi reali ci sono, basta citare il Consorzio Arancia di Ribera di Peppe Pasciuta, il Consorzio EuroAgrumi OP di Biancavilla (CT), il Consorzio Vastedda del Belìce del Prof. Massimo TodaroLa Goccia D’Oro di Menfi (AG) che raggruppa gli olivicoltori della zona, tutte realtà leader e vincenti nel loro settore. In conclusione, bisognerebbe incentrare la promozione dell'agroalimentare sulle peculiarità e sulle tipicità, introvabili in altre zone del mondo ma molto diffuse in Sicilia, e saldarle con le tre C: che siano la grande varietà di vitigni autoctoni, i territori, la biodiversità cerealicola costituita dai grani antichi, le ricette tipiche o le proprietà salutistiche di un cibo, tutte caratteristiche collegate a doppio filo al territorio, al turismo e ai nostri beni culturali, al contempo garanzia contro l'agropirateria e la concorrenza dei prezzi. La figura formata dallo STAL si può praticamente inserire in tutte le fasi delle mie tre C, dalla produzione alla promozione fino alla vendita, agevolando, se non addirittura creando, lo sviluppo economico di un intero territorio.

 

 

 

 

 

Armando Palmieri, un napoletano a Milano

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Armando Palmieri 01A Palermo, la Cappello Pastry Academy vanta ad oggi una nutrita collezione di corsi tenuti da docenti, grandi professionisti spesso anche volti televisivi, che diversamente sarebbe stato difficile frequentare per il professionista che si vuole tenere aggiornato e ancor di più per l'amatore, se non a patto di sopportare elevati costi tra trasferimenti in sedi lontane dalla Sicilia e pagamento dei corsi. 

Lo scorso 13 e 14 Giugno 2016 la scuola ha ospitato Armando Palmieri, Pastry Chef noto ai professionisti per la sua attività di consulenza in tutta Italia e al più vasto pubblico televisivo per la sua trasmissione sul canale Alice TV. La lezione di due giorni è stata incentrata sui lievitati da prima colazione, argomento a lui particolarmente congeniale e ben diverso dalle torte "moderne", preparate con il freddo dell'abbattitore piuttosto che con il caldo del forno.

Armando, campano verace, in una video intervista da lui gentilmente concessami ha raccontato la sua storia che, lungi da me ogni blasfemia, mi piace affiancare a quelle di chi invece rimane illuminato dalla fede e sceglie il seminario. In sostanza, è una sorta di conversione quella che ha trasformato Armando da un abile restauratore laureato in architettura con il posto fisso, in uno chef prima e in un bravo pasticcere dopo. Un'altra sua particolarità è quella di avere girato tanto il mondo, attività importante per chi sceglie l'ambito ristorativo poichè il "gironzolare" apre sicuramente la mente. I suoi mentori sono ben due, Igles Corelli perchè sin da subito ha creduto nelle sue potenzialità e Achille Zoia in qualità di lievitista, mentre la prima importante scuola che lo ha formato è stata l'Etoile di Rossano Boscolo, ai tempi della direzione Montersino, poi sono arrivate le docenze in Cast Alimenti, in Alma, e la delega di rappresentanza Conpait per la Lombardia, infine il programma su Alice TV. Oggi egli vive nella periferia milanese ed è un Pastry Chef che divide le sue giornate lavorative tra consulenze e corsi in tutta Italia, ma soprattutto con Open Pastry Kitchen, la sua scuola di cucina e pasticceria, aperta recentemente a Senago (MI) insieme all'amica Maria Grazia Liuzzi. Però tranquilli, la sua milanesizzazione non gli ha impedito di continuare a preferire tra i dolci il napoletanissimo babà!

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Qui di seguito, tutte le foto della giornata conclusiva del corso palermitano del 13 e 14 Giugno 2016

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La NIC Juniores alla Delizia di Bolognetta

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NICJuniorAllaDelizia 01Sul territorio palermitano ci sono delle risorse insospettabili, purtroppo poco conosciute, ma che invece andrebbero sempre citate e promosse, ma per fortuna, al di fuori dei nostri confini regionali, esse sono ben conosciute. E' questo il caso del pluri medagliato Maestro di Cucina Giuseppe Giuliano, responsabile pasticceria della NIC, Nazionale Italiana Cuochi nell'ambito della F.I.C., nonchè Coach del Culinary Team Palermo, squadra molto attiva nei concorsi internazionali che alla sua città ha portato tanti riconoscimenti mondiali. Poche invece sono le pasticcerie in grado di distinguersi, offrendo un prodotto veramente artigianale e realizzato con tutte le attenzioni che per un'attività del genere dovrebbero essere obbligatorie, ma che invece sono considerate dai più solo un aggravio di costi. La Pasticceria Delizia di Pino Lo Faso, sita sul corso principale di Bolognetta, paese a pochi chilometri da Palermo, rappresenta uno dei rari locali che inverte le tendenze negative di questo settore, non ha caso essa è stabilmente presente tra le pagine di questo mio sito web, impossibile non citare i suoi eccellenti lievitati, tra i migliori in Sicilia, forse al Sud, e le creme autoprodotte, come ad esempio la Deliziella nocciole e cacao.

NICJuniorAllaDelizia 02Fatte queste premesse, riesce sicuramente più facile comprendere le motivazioni che hanno spinto la NIC Juniores, accompagnata dallo Chef Gaetano Ragunì, uno dei suoi coach anche lui pluri medagliato, presso il laboratorio della Pasticceria Delizia con lo scopo di confrontarsi con l'esperienza del Maestro Giuliano. L'oggetto dello studio dei due giorni siciliani della NIC, 28 e 29 Luglio 2016, è un nuovo segretissimo dessert che verrà proposto come piatto in concorso durante le prossime competizioni della NIC Juniores, pertanto rassegnatevi, di ciò non vedrete nè foto nè conoscerete dettagli, ma potrete invece ammirare "Taormina", l'ultima creazione di Mauro Lo Faso, promettente figlio di Pino, reduce da un corso di studi presso la Cast Alimenti. Gaetano Ragunì è arrivato a Bolognetta insieme a Patrick Bertoni, bresciano, Salvatore Canargiu, pugliese e Antonio Ingrao di Sciacca, tutti giovanissimi, promettenti e con l'ottima peculiarità di essere particolarmente disciplinati e concentratissimi, difficile distoglierli dalla loro missione! Insieme a loro, Pino Lo Faso, affiancato dal figlio Mauro, da poco entrato a far parte del Culinary Team Palermo Junior, hanno contribuito attivamente ai lavori di messa a punto del dessert da concorso non solo offrendo ospitalità alla squadra, ma anche partecipando attivamente all'evoluzione del progetto.

Gaetano Ragunì, mi ha inoltre gentilmente rilasciato una piacevole video intervista, nella quale mi ha raccontato delle sue origini siciliane di Giardini Naxos (ME), del lavoro in quel di Forlimpopoli (FC), nonchè della sua passione per i concorsi. La sua è una cucina che definirei "camaleontica", cioè che si adatta al territorio in cui egli sta operando in quel momento, ma a tavola predilige le alici marinate e come dessert un bel... cannolo siciliano, buona visione.

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Marcello Ferrarini, chef e libro senza glutine

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MarcelloFerrarini 02L'esplosione della celiachia, patologia a carico dell'intestino che impedisce l'assimilazione di quelle proteine che nei cereali formano il glutine, sta creando un'attenzione sempre crescente da parte della ristorazione nei confronti dei clienti che ne sono affetti. Purtroppo però ci sono ancora delle sacche, nel settore della cucina professionale e dell'opinione pubblica, che ignorano tale problematica o non la capiscono, pertanto, l'opera di diffusione da compiere è ancora molta. L'argomento è pertanto spesso ancora relegato ad ambienti professionali e medici, ma c'è uno chef, Marcello Ferrarini, che già da qualche tempo si è messo in gioco, ideando e conducendo una trasmissione televisiva dedicata ai celiaci su Gambero Rosso TV, sdoganando così gli "sglutinati", come lui stesso ama definire i portatori di celiachia.

Marcello, oggi svolge consulenze nella ristorazione ed è testimonial di numerosi prodotti per celiaci, ma la sua attività più importante è quella della divulgazione, indirizzata ad assottigliare il gap alimentare tra cibi convenzionali e per celiaci. E' in questo ambito che egli ha scritto "Tutta un'altra pasta" pubblicato da Mondadori, un libro di ricette un po' anomalo, diverso dai soliti in quanto inserisce queste nella vita di un celiaco, percorrendo tutte le tappe che ogni individuo affetto da tale patologia conosce bene. Il celiaco oggetto del libro è proprio lui, Marcello Ferrarini, un ragazzo e poi uno chef che racconta empaticamente i problemi incontrati a causa della sua patologia, partendo da tempi passati in cui avere problemi con il glutine comportava difficoltà di alimentazione e sociali ben maggiori di quelle che si possono incontrare oggi.

Marcello spesso si scusa di aver frequentato un istituto d'arte invece di un alberghiero, evidentemente egli ha un concetto particolarmente alto di tali corsi di studio, ma bisogna ricordare che per diventare un bravo cuoco non è indispensabile averlo frequentato, anzi, io stesso spesso affermo che è titolo preferenziale non averlo seguito per niente, se poi andiamo ad analizzare gli stellati siciliani, ma più o meno con le stesse percentuali potremmo allargare il ragionamento anche a quelli italiani, ci possiamo rendere conto di come pochi di loro provengono da studi attinenti la cucina condotti in età scolare. Il segreto di Marcello, invece, è tutt'altro e affonda la sue radici nella Sicilia Orientale, zona dell'isola dal quale era originario suo nonno materno di nome Francesco, cuoco sopraffino e punto di riferimento che interviene in diversi momenti della biografia raccontata nel libro e che secondo me gli ha trasmesso molto più di qualsiasi alberghiero, comprese quelle lezioni che si possono ricevere solo da un individuo che può vantare grande esperienza di vita.

MarcelloFerrarini 01Il risultato che è venuto fuori da questa commistione modenese-siciliana ha dato luogo a numerose ricette, apprezzabili dal punto di vista degli abbinamenti tra ingredienti, facili da ben presentare, ma soprattutto stuzzicanti da nominare, infatti l'autore non ha impiegato i soliti titoli, più o meno descrittivi che si incontrano in altri libri della categoria o addirittura nei ristoranti, ne sono testimone io stesso quando, in alcune recensioni che ho effettuato, mi sono trovato a dover cambiare nome ai piatti a volte talmente lunghi da elencare tutti i singoli ingredienti impiegati. Pertanto, la cosa che più ho gradito del libro sono stati i nomi delle ricette comprensivi di sottotitolo, divertenti e a volte attinenti al periodo biografico dell'autore, come a costituire una sorta di percorso virtuale tra vita reale vissuta e vita in cucina dell'autore. Immaginate come possono colorare un menu al ristorante o la tavola di casa vostra dei titoli come "Borderline, tra dolce e salato", "Famechimica", "La patata in spiaggia", "Nudi e crudi", "Parli con il mio Avocado", "Giallo Ferrari-ni" e tanti altri che non solo movimentano il piatto, ma incuriosiscono e stimolano l'appetito, concetto che da tempo cerco di far capire a quei ristoratori amanti dei nomi lunghi di cui sopra.

Di ricette per celiaci in rete ce ne sono parecchie, senza bisogno di cercarle in un libro, ma ogni tanto ci dobbiamo anche divertire un po' e magari fare un abbinamento diverso tra gli ingredienti, magari ben presentato per stupire i nostri commensali, celiaci o meno, si perchè dobbiamo sempre ricordarci che i piatti convenzionali vanno bene solo per i non affetti da celiachia, mentre i piatti per celiaci sono per... tutti e l'autore non solo ribadisce questo concetto, ma racconta situazioni pratiche che lo dimostrano. Anche secondo me, il libro di Marcello non deve essere considerato solo per celiaci, anzi, grazie alla sua struttura probabilmente rappresenta la prima raccolta di ricette da leggere come un libro, grazie all'integrazione con la biografia dell'autore, ricca di divertenti particolari, i suoi piatti sono quindi in grado di interessare qualsiasi palato: provare per credere. Infine in "Tutta un'altra pasta", c'è un bel ventaglio di esperienze: abbinamenti fusion e tradizionali, ricordi di infanzia del nonno siciliano, ecc. ecc., insomma, una vita di ricette studiate dallo chef e profondamente correlate con le sue esperienze.

A Marcello Ferrarini, vorrei infine dedicare una nuova rubrica di CucinArtusi.it che sulla falsa riga di quella convenzionale, esistente dal 2013, si chiamerà "Pizza buona S.G. si può", in cui dal 5 Luglio 2016 verranno recensite esclusivamente pizze Senza Glutine.

 

Pizze, celiachia e alimentazione

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CeliachiaAlimentazione 01Con questa mia presentazione darò il via ad una serie di articoli, ma soprattutto di recensioni, per lo più focalizzate sulla pizza, riguardanti l'ormai endemico problema della celiachia. Lo scorso 5 Luglio 2016, con l'indispensabile ausilio di Stefania Oliveri, celiaca, insegnante di sostegno a Palermo nonchè blogger e autrice di ben due libri di ricette senza glutine, e Ivana Failla, anche lei celiaca, insegnante di matematica e scienze e Segretaria dell'associazione CastelbuonoSCIENZA, CucinArtusi.it ha inaugurato, con la sua prima recensione, una disamina particolareggiata delle pizze per celiaci offerte dai locali finora da me recensiti nella rubrica Pizza buona si può. Le recensioni della pizza senza glutine saranno di volta in volta aggiunte in coda alle esistenti, ma avranno una valutazione completamente separata rispetto a quella generale riguardante tutto il locale, però in futuro, in seguito ad eventuali revisioni, sicuramente influiranno su queste ultime.

CeliachiaAlimentazione 05Gli impasti per le pizze senza glutine, sono particolarmente difficili da preparare poichè mancando il famigerato glutine, viene direttamente intaccata la struttura che sosterrà la pizza, prima durante la maturazione, lievitazione e allargamento, poi durante la cottura in forno. Le grandi aziende alimentari hanno però creato una serie di mix di farine e additivi, più o meno naturali, che permettono di aggirare l'ostacolo, come ad esempio gli idrocolloidi che creano una sorta di vera e propria maglia glutinica, oppure addensanti come lo xantano o la farina di semi di guar. Alla composizione di questi mix si possono fare soltanto pochissime variazioni, anzi meglio non farne del tutto, però, per influenzare il risultato finale è possibile agire sul fattore umano che agisce sulla parte esterna all'impasto, cioè l'uomo: tecniche d'impasto, stesura e cottura in forno possono quindi decretare il successo di una pizza oppure svilire il prodotto, anche se si usa un mix perfetto.

Ovviamente non sarò certamente io a parlarvi di pizze e celiachia, bensì le già citate e più esperte di me Stefania e Ivana, ovvero le ragazze S.G., cioè Senza Glutine o meglio sglutinate come direbbe lo Chef Marcello Ferrarini, a me invece mi preme focalizzare la vostra attenzione su di un argomento che mi sta particolarmente a cuore: gli alimenti ad alto indice glicemico, fattore che oncologi, nutrizionisti e organizzazioni mondiali sulla salute ci raccomandano di tenere basso ormai da alcuni anni. Purtroppo il celiaco, nella sua continua ricerca di alimenti che possano sostituire quelli proibiti, cioè i prodotti derivati dal grano e simili, si trova facilmente a scegliere altri amidacei che per loro natura hanno un indice glicemico particolarmente alto, come ad esempio il riso, il mais o le patate. Questi ultimi, se sottoposti ad alte temperature e/o se cotti troppo a lungo, sono soggetti ad un ulteriore aumento del malefico indice. Pertanto, per il celiaco, il problema risiede proprio nella differenza di frequenza di assunzione di questi cibi, molto più alta per lui piuttosto che per un non portatore della patologia. In conclusione di questa introduzione, dedicato a tutti coloro che non hanno ancora le idee chiare su cosa sia la celiachia, vi invito a leggere il seguente testo scritto dalla Prof.ssa Ivana Failla.

Maurizio Artusi

ivana failla
 Ivana Failla

CELIACHIA E ALIMENTAZIONE

CeliachiaAlimentazione 02La malattia celiaca è una patologia infiammatoria definita come autoimmune a carico dell’intestino tenue, caratterizzata da un danno della mucosa con conseguente atrofia dei villi, scatenato e mantenuto dall'ingestione del glutine in soggetti geneticamente predisposti. Pertanto, l'ingestione di glutine nei soggetti affetti, anche in minime quantità, danneggia gravemente la mucosa intestinale, provocando un difetto di assorbimento dei nutrienti.

La celiachia venne definita per la prima volta come sindrome da malassorbimento nel 1888, dal pediatra britannico Samuel Jones Gee, successivamente, intorno al 1950, il pediatra olandese Willem Karel Dicke identificò nel glutine la causa di tale malattia, osservando un miglioramento delle condizioni cliniche dei bambini affetti durante la deprivazione alimentare verificatasi a causa della seconda guerra mondiale.

Ma cos’è il glutine? Con il termine “glutine” ci si riferisce al complesso di proteine di riserva insolubili in acqua: prolammine (chiamate gliadine nel grano) e gluteline (chiamate glutenine nel grano) dei cereali. I differenti tipi di prolammine contengono diversi aminoacidi, i “mattoni” che costituiscono le proteine, e quanto più alto è il contenuto degli aminoacidi prolina e glutamina, tanto più la proteina da essi formata (prolammina), e quindi il cereale che la contiene, sarà tossica per il paziente affetto da malattia celiaca. Proteine simili alle prolammine che mostrano proprietà simili a quelle della gliadina presente nel grano, sono contenute nella segale (secalina), nell'orzo (ordeina) e in altri cereali geneticamente vicini al frumento.

CeliachiaAlimentazione 03Quindi, quando ci si riferisce ad una dieta priva di glutine, si intende una dieta in cui vengono esclusi dall’alimentazione frumento, orzo, segale, triticale, kamut e farro. I sintomi della malattia celiaca sono estremamente variabili, dalla letteratura più moderna si evince che negli ultimi anni la presentazione "classica" della malattia celiaca, caratterizzata da malassorbimento, diarrea e perdita di peso, è sempre meno frequente. La celiachia è una malattia multifattoriale, che dipende oltre che da fattori genetici anche da fattori ambientali. Considerando la componente ambientale, essa è rappresentata in primo luogo dalla quantità e dalla “qualità” del glutine introdotto con gli alimenti, ma anche da altri fattori, quali la durata dell’allattamento al seno, l’età di introduzione del glutine e le infezioni intestinali. La celiachia è oggi considerata la più frequente reazione avversa agli alimenti a livello mondiale, con una prevalenza pari almeno all’1% della popolazione, sia nei bambini che negli adulti, ne risulta affetta quindi una persona su 100.

L’unica terapia attualmente efficace è quella dietetica, rappresentata dall’esclusione assoluta e permanente dei prodotti contenenti glutine. Al posto dei cereali proibiti possono essere introdotti prodotti senza glutine e cereali naturalmente privi di glutine, come riso e mais, inoltre, nella dieta del celiaco, sono consentiti anche alimenti sia amidacei (patate, legumi, ecc..) che di altra natura (latte e derivati, frutta, verdura, carne, pesce, ecc.). Particolare attenzione però va posta nei confronti degli alimenti commerciali a complessa formulazione (come salse pronte, salumi, gelati, ecc.), che possono contenere quantità più o meno rilevanti di glutine aggiunto. Il rispetto scrupoloso della dieta fa regredire i sintomi e previene le complicanze.

Gli alimenti esclusi dall’alimentazione quotidiana, quali pane, farina e pasta, rappresentano però un’importante fonte di energia, proteine e carboidrati e sono ricchi in micronutrienti, quali ferro, calcio, niacina e tiamina. La dieta priva di glutine può quindi avere effetti sullo stato nutrizionale dei pazienti celiaci se gli alimenti non ammessi non vengono opportunamente sostituiti con alternative appropriate. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che circa il 20-38% dei pazienti celiaci presenta delle carenze nutrizionali, relative al rapporto tra calorie e proteine, fibre, minerali e vitamine. E’ stato inoltre ipotizzato che tali carenze, attribuibili non soltanto alla condizione di malassorbimento, possano protrarsi nel tempo, a causa dei bassi livelli dei micronutrienti nei prodotti privi di glutine, che raramente vengono adeguatamente arricchiti o fortificati.

CeliachiaAlimentazione SG Altrettanto problematica è l’aumentata incidenza della condizione di sovrappeso e obesità osservata nei pazienti con malattia celiaca (Kupper, 2005). Negli ultimi anni infatti, i prodotti senza glutine sono aumentati in modo “esponenziale” , migliorando nel tempo anche il loro profilo qualitativo. L’incidenza della malattia celiaca ha sicuramente contribuito a stimolare le aziende a investire nella ricerca. La possibilità di utilizzo di un maggiore numero di farine, di amidi (anche con un buon apporto proteico), di idrocolloidi (addensanti spesso di natura vegetale capaci di assorbire notevoli quantità di acqua e formare un reticolo) e la messa a punto di tecniche di lavorazione più idonee hanno portato alla realizzazione di prodotti con appetibilità migliore. Alcuni aspetti però si prestano ad ulteriori indagini quali l’indice glicemico dimostratosi più elevato nel pane senza glutine e l’utilizzo anche di grassi idrogenati. L’indice glicemico dei cibi è una misura che permette di sapere quanto un alimento incrementa il livello di glucosio nel sangue rispetto ad uno standard (di solito glucosio o pane bianco). L’analisi nutrizionale di una vasta gamma di tipi di pane senza glutine ha evidenziato che questi alimenti amidacei sono ad alto indice glicemico (stimato tra 83,3 e 96,1 contro 71 per la farina di pane bianco) con basso contenuto proteico. Il consumo di cibi ad alto indice glicemico può aumentare la glicemia dopo il pasto favorendo l’iperinsulinismo postprandiale e l’obesità. Quando l’insulina, ormone di natura proteica che regola la quantità di glucosio nel sangue, viene liberata in grandi quantità, promuove la lipogenesi, cioè l’accumulo di grassi nell’organismo, e la produzione del fattore di crescita cellulare IGF-1, che aumenta il rischio di cancro e, nelle donne, del testosterone, che è un importante fattore di rischio per il tumore della mammella. Sempre più studi evidenziano che chi ha la glicemia alta, pur nell’intervallo di normalità, si ammala di più, ad esempio di tumori della mammella, del cervello, del pancreas, e se si è già ammalato ha una prognosi peggiore.

I fattori che influenzano l’indice glicemico nei cibi sono, oltre al tipo di carboidrato, le modalità di cottura, che se protratta o eseguita a temperatura elevata può causare la gelatinizzazione degli amidi con aumento dell’indice, ma anche la presenza di altri nutrienti, come grassi, proteine e fibre che invece lo abbassano, infatti, gli alimenti integrali, ricchi naturalmente in fibre, di solito hanno un indice glicemico più basso rispetto a quelli raffinati.

Infine, dall’analisi dietologica condotta su gruppi di celiaci è emerso un apporto alimentare non sempre ideale con eccessi di grassi, zuccheri semplici e proteine. Sarebbe quindi auspicabile che anche i celiaci seguissero una dieta equilibrata conforme alle linee guida per la popolazione italiana, scegliendo correttamente non solo tra i prodotti gluten-free a base di riso e mais nelle loro varietà integrali, ma anche tra gli innumerevoli alimenti per natura privi di glutine come il miglio, il sorgo, il teff o gli pseudocereali quali l’amaranto, il grano saraceno e la quinoa.

Ivana Failla

 

La Papaya di Palermo

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PapayaSicilia2016 01Frequento l'agroalimentare siciliano ormai da più di 15 anni, ma ogni volta che lo approccio esso non perde occasione di stupirmi e convincermi che in questa straordinaria terra di Sicilia si può coltivare veramente di tutto. Oltre alle colture tipiche, possiamo infatti incontrare casi di ottimi risultati con riso, tabacco e... frutta tropicale, proprio quest'ultima ha recentemente catalizzato la mia attenzione, complice anche il supporto di Vittorio Farina, docente in frutticoltura tropicale e subtropicale presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell'Università di Palermo. D'altronde non dobbiamo dimenticare che il ficodindia, uno dei simboli della Sicilia, ma di origini messicane, da secoli fa parte del paesaggio siciliano infatti, ad oggi, sono presenti diverse aziende che con successo coltivano frutta tropicale, i casi dell'Orto di Nonno Nino a Partinico (PA) e dell'Arch. Cuccio di Caronia (ME) con il Mango, Arrabito Donnalucata (RG) con la Papaya, Passanisi a Giarre (CT) con l'Avocado e tanti altri, non sono più considerati "strani", ma rappresentano sempre di più un modo per creare reddito con le nostra agricoltura. Infine, per coloro che avessero ancora dubbi sulle potenzialità siciliane di coltivare qualsiasi cosa, posso chiamare in causa Francesco Verri, un appassionato del settore che in provincia di Messina, nell'orto di casa sua, ha più di 45 varietà di piante tropicali, ha inoltre iniziato una distribuzione di frutta, propria e di altri piccoli produttori siciliani, esclusivamente coltivata in modo "genuino" ed a maturazione avvenuta in pianta, in sostanza, già solo "il giardino di Verri" potrebbe giustificare un articolo a lui dedicato e non è detto che ciò non possa accadere!

Per toccare con mano e con palato la Papaya siciliana, ho scelto di visitare, per comodità, quella coltivata nei pressi della città di Palermo, mi sono pertanto recato prima presso l'azienda "Papaya di Sicilia" di Luigi Speciale e poi presso "L'Orto di Nonno Nino", dei fratelli Benedetto e Rosolino Palazzolo.

PapayaSicilia2016 02Papaya di Sicilia

Il 19 Luglio 2016, presso l'azienda Papaya di Sicilia di Ficarazzi, piccolo Comune ormai fagocitato dalla periferia di Palermo, ho incontrato Luigi Speciale, suo ideatore e conduttore, che mi ha raccontato una strana storia che coincide con quella casualità che spesso distingue i casi di successo. Luigi coltiva la Papaya dal 2013, utilizzando l'orto della propria abitazione, ma ancora quasi sotto forma di esperimento. Luigi non nasce come agricoltore, è invece laureato in archeologia ed ha praticato questa professione per alcuni anni soprattutto all'estero, ancora trentenne però è tornato nella sua terra, scegliendo di occuparsi di un appezzamento di terreno ereditato dal nonno. La scintilla che ha fatto scattare la passione tropicale è stata quella della voglia di distinguersi rispetto alla massa, alla Papaya è invece arrivato seguendo la strada dell'ottimizzazione della coltura, cercando il frutto più congeniale alle sue esigenze di neo-agricoltore, infatti essa è molto prolifica, inserita in un ambiente adeguato, tipicamente una semplice serra, produce frutti in continuazione da Maggio a Settembre e non richiede particolari cure, inoltre è molto richiesta sul mercato. Attualmente, la produzione proveniente dalle sue 50 piante, è stata sufficiente per iniziare un piccolo commercio e convincerlo ad incrementare la coltivazione, è sua intenzione portare presto la piantagione a 300 esemplari e poi raggiungere l'obiettivo di estenderla ancora di più ed arrivare fino a 2500/3000 alberi.

PapayaSicilia2016 03L'Orto di Nonno Nino

Durante la mia visita del 22 Luglio 2016, presso L'Orto di Nonno Nino di Terrasini (PA), Comune turistico in prossimità della cittadina di Partinico (PA), ho conosciuto Rosolino Palazzolo, conduttore dell'azienda insieme al fratello Benedetto, con lui ho approfondito la sua passione tropicale. Nel caso della famiglia Palazzolo, a differenza di Speciale, abbiamo a che fare con agricoltori professionisti con papà Nino attivo in biologico sin dal 1993, prima con gli agrumi e poi con il pomodoro, a quei tempi l'azienda era quasi completamente indirizzata all'esportazione dei prodotti, solo in seguito si è poi convertita al mercato locale e quindi alla coltivazione di ortaggi con vendita diretta. La scintilla tropicale però è scoccata nel 2006, quando a Rosolino regalarono alcuni semi di Papaya e fu subito amore a prima vista, anzi a primo morso! Oggi, l'azienda di Nonno Nino vanta ben 80 piante di Papaya in produzione e altre 100 in preparazione, ma non è tutto, secondo per importanza commerciale, ma primo per il suo palato, Rosolino coltiva anche il Frutto della Passione e tanti altri vegetali tropicali in modo più o meno sperimentale: Mango, Banane, Platani, Caffè, Lime, Canna da Zucchero, tutto l'orto dei Palazzolo è in biologico.

PapayaSicilia2016 04Arrivati a questo punto, bisognerà però anche assaggiarla questa Papaya e ciò, se permettete, è compito mio! Ho quindi approfittato di due coltivazioni e di terreni diversi, come quello dei produttori di Ficarazzi e di Terrasini. La prima Papaya era molto piccola, ma già caratterizzata da sapori di pesca bianca e buccia di albicocca, con una leggera sapidità che a tratti, devo essere sincero, mi ha disturbato per il contrasto con una parte dolce che comunque non era così spiccata. La seconda da me assaggiata, presso L'Orto di Nonno Nino, era già di dimensioni più ragguardevoli e con il gusto molto simile alla prima, ma più equilibrato tra dolce e salato e fortemente caratterizzato da un'insolita "aria di mare", almeno quella è la sensazione che ho provato, ricordandomi il profumo ed il sapore che potrebbe avere una brezza marina. 

PapayaSicilia2016 05Coltivare la frutta tropicale in Sicilia significa, se le condizioni di terreno e climatiche lo permettono, poter fornire ai clienti un prodotto con migliori caratteristiche organolettiche rispetto ai prodotti importati direttamente dai paesi di origine grazie all'enorme riduzione delle distanze. Grazie alla vicinanza della Sicilia ai mercati italiani ed europei, rispetto ai paesi di origine della frutta tropicale, il consumatore può gustare dei prodotti raccolti a maturazione quasi completata o completata del tutto sulla pianta. Inoltre, considerando la frammentarietà dei produttori, spesso con poche piante, nonchè la non necessità di impiegare fitofarmaci facilitata dalla mancanza di colture intensive e quindi dalla facilità tutta siciliana di produrre in biologico, la frutta tropicale siciliana è generalmente più genuina. Sembra inoltre che le immancabili caratterizzazioni apportate dai tipi di suolo differenti diano una marcia in più ai prodotti siciliani, completando così un quadro che messo da parte il fattore quantità, difficile da realizzare nell'isola, è da definisti assolutamente positivo.

Infine, qui di seguito, ho aggiunto delle note esplicative e un po' più tecniche scritte dal già citato Prof. Vittorio Farina che spero possano far conoscere meglio la pianta della Papaya.

Maurizio Artusi


PapayaSicilia2016 06Origine e diffusione

Originaria del Centroamerica, la papaia o papaya (Carica papaya L., famiglia delle Caricacee) è coltivata in molti paesi a clima tropicale quali Sud Africa (Monzambico, Congo), America (Brasile, Messico, Perù, Colombia, Venezuela), Asia (Cina, Filippine, India) e Oceania mentre la sua diffusione in Europa è limitata dalla elevata sensibilità alle basse temperature. Da qualche tempo, però, si incontra in coltura in alcuni paesi del Mediterraneo quali Israele, Spagna e Italia dove si trova esclusivamente in Sicilia sulle coste tirreniche dell’Isola.

Morfologia della pianta

Anche se generalmente è considerata una pianta arborea in realtà si tratta di una pianta erbacea succulenta. Presenta un caule unico inizialmente di consistenza erbacea che diviene fibroso con l’avanzare dell’età e può raggiungere altezze notevoli (in coltura 5-6 metri); la pianta può presentare ramificazioni in seguito all’accecamento della gemma terminale.

Le foglie sono alterne, palmate e presenti soltanto nella parte terminale del fusto raggiungendo dimensioni notevoli (fino a 70 cm di lunghezza).

I fiori maschili si presentano in racemi ascellari e, in alcuni casi, possono sviluppare pistilli normali e dare vita a frutti. I fiori femminili si trovano, invece, solitari o in piccoli gruppi all’ascella delle foglie.

Caule, foglie e frutti immaturi possiedono canali latticiferi. Infatti, provocando una abrasione sulle parti aeree della pianta, frutti compresi, si assiste alla fuoriuscita del latice. Questo contiene per l’80% acqua e per il restante 20% zuccheri, granuli di amido, minerali (S, Mg, Ca, K, P, Fe, Zn), alcaloidi, isoprenoidi, sostanze lipidiche e proteine, compresi gli enzimi come lipasi, cellulasi e proteasi (papaina), importante per la pianta nella difesa contro animali erbivori e nella formazione di organi e tessuti (differenziazione del midollo). La papaina è un enzima proteolitico (idrolasi) che possiede un'azione digestiva superiore alla pepsina e alla pancreatina.

L’apparato radicale è piuttosto superficiale essendo compreso nei primi 30 cm di profondità. Le piante adulte possono presentare esemplari maschili, femminili o ermafroditi.

Il frutto

Il frutto di papaya è una bacca con dimensioni, forma e depressioni carpellari più o meno profonde in funzione della varietà. Il peso può variare dai 100 g a qualche chilogrammo mentre le pezzature commerciali dovrebbero attestarsi intorno ai 500 – 600 grammi. I frutti delle piante ermafrodite tendono ad essere allungati, cilindrici o piriformi, mentre quelli delle piante femminili rotondeggianti.

La maggior parte del volume del frutto è occupata da una grossa cavità, dove si trovano numerosissimi semi di colore nero coperti da una pellicola mucillaginosa, attorno alla quale si sviluppa una polpa spessa e più o meno consistente di colore giallo arancio. La buccia è verde e a maturazione si colora dal giallo all’arancio intenso.

La papaya è ricca di carotenoidi e composti volatili che la rendono particolarmente aromatica: è considerata un frutto nutraceutico per le sue molteplici proprietà legate alla sua composizione vitaminica, polifenolica, e all’elevato contenuto di carotenoidi in grado di renderla un prezioso alleato nel prevenire alcune patologie degenerative. Il frutto fresco subisce alterazioni se conservato a temperature inferiori a 10°C.

Ecologia e Coltivazione

La pianta di papaya può essere propagata per seme. In appropriate condizioni colturali ha un rapido sviluppo superando la fase giovanile in 3-8 mesi e iniziando a produrre in 9-15 mesi. L’optimum vegetazionale è di circa 25° mentre scendendo al di sotto dei 20° C possono verificarsi i primi danni alle piante con rallentamenti della crescita, fiori privi di stami e deformità dei frutti. Man mano che si abbassa la temperatura diminuisce anche l’accumulo di zuccheri con evidenti ricadute sul gusto dei frutti. I venti sono deleteri a causa dell’apparato radicale poco profondo e perché possono essere responsabili dell’indurimento precoce del caule in grado di alterare l’architettura della pianta. Per tutte queste ragioni, la papaya nei nostri ambienti è diffusa solo in coltura protetta.

La pianta necessita di irrigazioni nei periodi estivi e per quanto riguarda la nutrizione minerale le esigenze seguono tale ordine: K > N > Ca > P > S > Mg.

Prospettive di mercato

La papaya siciliana ha già conquistato il mercato interno spuntando prezzi interessanti per i produttori. Le superfici coltivate sono ancora piuttosto limitate e la coltura necessita di ulteriore affinamento delle tecniche colturali e di gestione post raccolta. L’aumento delle superfici e le caratteristiche qualitative dei frutti lasciano presagire un possibile avvicinamento ai mercati europei.

La ricerca

Presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università degli Studi di Palermo si stanno conducendo ricerche per valutare gli aspetti legati alla coltivazione di questa specie di origine tropicale valutandone le performance vegeto-produttive in clima mediterraneo, la gestione post-raccolta e la qualità dei frutti in termini fisico-chimici e sensoriali. Ulteriori linee di ricerca sono in fase di definizione e riguardano la preparazione di frutti di IV gamma e la caratterizzazione dei composti bioattivi.

Vittorio Farina
Professore di Frutticoltura Tropicale e Subtropicale
Dipartimento Scienze Agrarie e Forestali
Università degli Studi di Palermo
vittorio.farina@unipa.it

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Targa Chef, a Collesano il primo concorso con cibo e motori

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TargaChef2016 01Si è svolto lo scorso 22 Agosto 2016 a Collesano (PA), con inizio alle ore 21:00 nella cornice di Piazza Castello, il primo concorso di cucina contadina sui sapori madoniti, organizzato dall'associazione Sicilia Racing di Collesano in concomitanza con la prima sagra del "pisci r'uovu", pietanza tipica del paese ospitante. Il regolamento prevedeva la partecipazione di concorrenti non professionisti della ristorazione con un piatto della locale tradizione contadina, rispettando l'uso di un paniere di prodotti predefiniti provenienti dai territori attraversati dalla nota competizione automobilistica siciliana chiamata Targa Florio.

TargaChef2016 02Per giudicare gli 11 piatti dei concorrenti è stata convocata una giuria di esperti, variegata in accordo con le professionalità richieste dal compito, in ordine alfabetico c'erano Maurizio Artusi, enogastronomo, Mario Fiorino, docente di cucina dell'Istituto Alberghiero Mandralisca di Cefalù, Mario Indovina, fiduciario Slow Food Palermo, Mariangela Lo Pizzo, biologa ricercatrice e nutrizionista, Angelo Matassa, Executive Chef, Angelo Pizzuto, Presidente del Parco delle Madonie e di ACI Palermo. Gli elaborati sono stati preparati prima dell'esposizione, tranne qualcuno che lo ha assemblato di fronte la giuria, e quasi tutti sono andati sul sicuro, impiegando solo alcuni degli ingredienti previsti dal paniere consentito dal regolamento. I temi più ricorrenti sono stati quelli della trippa con melanzane, erano ben 3, ed il "pisci r'uovu", come già detto la pietanza tipica del luogo preparata con uova, pane raffermo ammollato nel latte, pecorino e aglio, poi fritto in olio evo ed infine servito facoltativamente con salsa di pomodoro. In chiusura, il "pisci r'uovu" è stato protagonista di una degustazione offerta dai volontari che hanno partecipato all'organizzazione della serata.

TargaChef2016 03La giuria ha decretato la seguente classifica finale:

1. Filippo Andolina con il peperone ripieno "Pipi chinu".
2. Rita Federico con il "Picchi pacchi",  ricetta tipica di quei territori a base di verdure simile al "canazzo" palermitano.
3. Rachele Iachetta con un timballo tricolore chiamato "Mulinciani cu pisci r'uovo 'nto mienzu".

Una menzione speciale è stata però attribuita a Gina Iacuzzi, arrivata sostanzialmente quarta con le sue "Sardi a beccaficu", per aver sposato l'onnipresente "pisci r'uovu" con le sarde, ingrediente trascurato da tutti gli altri concorrenti, anche se il mare è presente nel percorso della Targa Florio. Per quanto riguarda il peperone ripieno, ha sorpreso tutta la giuria ed in particolare me, poichè dopo la precisa esposizione di Filippo Andolina, in cui egli ha praticamente attribuito ad ogni singolo ingrediente un territorio, gli abbinamenti di questi hanno deliziato il palato dei giurati, facendo risaltare l'equilibrio di sapori della pietanza e la loro genuinità, ma anche il suo aspetto nutrizionale, insomma, complimenti a Filippo perchè un agente della Polizia Stradale stavolta avrebbe potuto dare lezione a diversi "professionisti" della cucina o presunti tali!

Presenti alla serata, condotta da Robby D'Antoni, c'erano oltre a Giuseppe Ficcaglia di Sicilia Racing, anche il Presidente dell'associazione Giovanni Cuccia, nonchè Angelo Di Gesaro, Sindaco di Collesano, Dario Costanzo, Assessore, Mario Cicero, Presidente Distretto Turistico, nonchè Salvatore Requirez, Dirigente di Servizio presso l’Assessorato Regionale alla Salute, ma in questo caso presente in qualità di storico e scrittore della targa, Nicoletta Salviato, dirigente medico dell'A.R.N.A.S. Ospedale Civico di Palermo e il mitico Nino Vaccarella, ex pilota automobilistico assiduo partecipante della Targa Florio.

Partner dell'evento sono stati oltre al Casale Drinzi di Collesano che mi ha gentilmente ospitato, anche l'Assessorato Turismo Sport e Spettacolo di Sicilia, il Comune di Collesano, MedicAir, UnipolSai Assicurazioni, Agarli Viaggi, il Parco delle Madonie, M.Y.C Madonie Youth Center , l'Istituto Alberghiero Mandralisca di Cefalù che ha curato il servizio e tante altre piccole associazioni e sponsor del territorio che hanno collaborato per l'ottima realizzazione della manifestazione, intelligente e un po' dissacrante per i puristi dei motori, ma sicuramente necessaria per avvicinare questi due settori, tutti insieme per lo sviluppo del paese di Collesano, quindi, un buon lavoro a Giuseppe Ficcaglia ed a tutta Sicilia Racing per la prossima edizione che già si preannuncia più ricca e interessante.

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Come una goccia d'acqua, storie di pizzaioli e territori

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StoriaPizzeTerritorio 01E' risaputo, una goccia d'acqua sgretola anche la roccia, metafora questa che si adatta molto bene al continuo lavoro che la Scuola Maestri Pizzaioli Professional, con la sede di San Giuseppe Jato (PA) guidata dall'istruttore Francesco Bumbello, sta conducendo ormai dall'inizio del 2016 su parte del territorio attraversato dalla SS624, lo scorrimento veloce Palermo-Sciacca.

Francesco oggi, a poco più di 30 anni, è un pizzaiolo navigato, ma solo grazie alle sue esperienze iniziate un bel po' di anni fa. Dopo la scuola dell'obbligo, rispettando la classica gavetta, Bumbello trovò impiego come garzone di una pizzeria d'asporto, fu questo lavoro che gli permise di essere notato da un grande pizzaiolo e quindi di passare prima sotto la protezione professionale di Giovanni Lo Piccolo e successivamente di Serafino Liberante. Poi fu un gironzolare di locali, tra Palermo e provincia, Modena e di nuovo Palermo dove nel 2015 appagò la sua voglia di approfondimento della materia frequentando il corso per pizzaioli tenuto da Giuseppe D'Angelo il quale, sei mesi dopo la conclusione degli studi, gli affidò la nuova succursale della Scuola Maestri Pizzaioli Professional di Piana degli Albanesi.

StoriaPizzeTerritorio 02Sono trascorsi pochi mesi dall'apertura della succursale, prima con sede presso la Pizzeria Kalinikta, poi recentemente spostatasi nella logisticamente più comoda Pizzeria Z'alia di San Giuseppe Jato, ma già ben 7 pizzaioli, con esperienza o del tutto nuovi del settore, hanno avuto il prezioso attestato che li qualifica, grazie al corso di studi particolarmente dettagliato nella teoria e allo stage formativo, eccezionalmente completato da interventi di esperti esterni su argomenti correlati con la pizza come quelli di Vito Lo Greco, sulla tipicità dei prodotti agroalimentari siciliani, e lo spazio a me dedicato su recensioni, gastronomia della pizza e suoi aspetti nutrizionali. La caparbietà di Francesco, unita alla sua capacità di insegnare, ha già quindi iniziato a modificare il panorama della pizza con maturazione dell'impasto nella Valle dello Jato.

I nomi da fare in zona sono parecchi, alcuni usciti dal corso di Bumbello, altri comunque espressione delle collaborazioni tra pizzaioli nell'ambito dell'associazione Scuola Maestri Pizzaioli Professional, ma mi limiterò solo a citare l'appena aperto Expa pizzeria del lago, Orazio Invernale del Freedom Pub, Demetrio Fucarino de El Gordo, Giovanni Laudani, storicamente legato a La Montagnola e poi, il 25 Settembre 2016, nuovo pizzaiolo della nuova gestione della Z'alia, infine Alessandro Traina dell'Apud Jatum , pizzaiolo navigato ma anche nuovo corsista, e Ciro Turdo, in procinto di iniziare il corso, titolare e pizzaiolo di Speedy Pizza, locale solo d'asporto, ma che pratica già maturazione con l'obiettivo di aggiungere impasti a base di grani antichi e sala per ospitare i clienti. Il paese in cui sta maggiormente affermandosi la "pizza buona" è sicuramente San Giuseppe Jato a cui fa buona compagnia Piana degli Albanesi e San Cipirello, dando addirittura vita, da una mia intuizione, a quell'affiatato Pizza Team 624 costituito da Bumbello, Laudani, Traina e, bontà loro, anche da me, di cui spero presto di raccontarvi propositi e prime opere.

StoriaPizzeTerritorio 03I motivi per cui un pizzaiolo o un aspirante tale debba seguire il corso, anche se esperto e di lungo corso, l'ho scritto e detto più volte, sono molteplici, spesso questi professionisti ottengono risultati discreti, ma empiricamente, cioè con esperimenti che gli permettono di mettere a punto un impasto accettabile, senza però conoscerne i meccanismi e i segreti di esso, un corso invece permette di diventare padroni della materia e di svincolarsi dalla routine, iniziando ad inventare, correggere con cognizione di causa eventuali errori, ma soprattutto di rimanere sulla cresta dell'onda con le varietà di impasti a cui i clienti sono ormai abituati. Da non trascurare c'è anche il fattore nutrizionale e salutistico delle pizze, altro argomento a cui il consumatore oggi presta sempre più attenzione, identificabile principalmente in due caratteristiche: ingredienti della farcitura di buona qualità e indice glicemico più basso possibile. Conoscere le materie prime impiegate, dalle farine alle mozzarelle, attuare una maturazione dell'impasto o meglio impiegare i grani antichi siciliani moliti a pietra con un indice glicemico più basso e senza micotossine, rispetto alle farine doppio zero estremamente raffinate, costituisce sicuramente un plus ancora oggi relativamente diffuso. Il pizzaiolo del XXI secolo si deve pertanto professionalizzare al massimo per non rimanere fuori dai giochi e per aumentare il valore del suo lavoro.

In zona, per Bumbello, di lavoro da fare c'è ancora molto e altrettanto ce n'è già e ne ne sarà anche per me, ovviamente sotto forma di recensioni, perchè più la pizza diventa "buona", più CucinArtusi.it dovrà impegnarsi, ma ormai è questa la mia missione, iniziata solo nel Gennaio del 2013 su sprone dell'istruttore della PIA Peppe Sansone con la rubrica "Pizza buona si può", ma che ha in pochi mesi, cambiato il volto della pizza di Palermo e che oggi, grazie alla Scuola Maestri Pizzaioli Professional con il Maestro Bumbello, sta replicando il successo nella provincia, la strada è ormai segnata, bisogna solo percorrerla.

 

Il Tabacco è tornato in Sicilia

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TabaccoCerda 01Dopo essermi occupato di frutta tropicale siciliana, qualora ce ne fosse ulteriormente bisogno, ecco un'altra prova a testimonianza che in Sicilia si può veramente coltivare di tutto, in questo caso il tabacco, ingrediente base per la produzione dei sigari. In verità quella del tabacco è una coltura non nuova sull'isola poichè era già praticata fino a 150 anni fa, poi con le vicissitudini a tutti ben note, unità d'Italia con conseguente annichilimento delle attività commerciali dell'isola, i contadini dell'epoca abbandonarono la coltivazione. Oggi è grazie a Federico Marino, dell'omonima tabaccheria palermitana, insieme a Giuseppe Scordato di Bagheria della Cooperativa La Campagnola, un amico conosciuto tramite relazioni di parentela, che il tabacco è tornato in Sicilia, attività iniziata l'anno scorso come test con ben 16 ettari di estensione poi ridotte a 6 di cui 4 di varietà Kentucky e 2 di Barley, lo scopo è quello di produrre il primo sigaro totalmente siciliano. E stato così che lo scorso 1 Ottobre 2016 ho avuto il privilegio di visitare la piantagione di tabacco di Federico e Giuseppe, recandomi a Cerda (PA), paese noto per le coltivazioni di carciofi e prossimamente speriamo anche per le... piantagioni di tabacco!

Arrivato a questo punto, sarà meglio illustrare alcune fasi della produzione, attività propedeutica a capire meglio anche il mondo dei sigari.

TabaccoCerda 02La pianta in questione è molto prolifica di semi, ma essi, essendo piccolissimi, vanno prima incapsulati, di questo trattamento si occupano alcune aziende canadesi verso il mese di Gennaio di ogni anno. In seguito, i semi vengono sistemati a germinare e di li a poco nascono le prime piantine, ma bisogna aspettare le prime 3 o 4 foglioline prima dell'immissione sul mercato, ciò avviene di solito verso Aprile/Maggio. Ed è proprio quello il periodo in cui esse vengono finalmente messe a dimora nei campi in cui rimarranno fino a Settembre/Ottobre, periodo in  cui viene eseguire il raccolto. Le foglie di tabacco sono molto larghe, la pianta è generosa e si adatta bene a diversi climi e terreni, una volta raccolte vengono, per comodità di lavorazione, cucite tra di loro tramite una macchina che esegue la "filzatura", formando così dei filari che vengono poi stesi al coperto. Durante questa importantissima fase avviene la fermentazione e l'essiccamento, più o meno guidate da condizioni di umidità e temperature specifiche. Infine, le foglie vengono selezionate e affidate alle mani della sigaraia di turno, prima di affrontare l'ultima fase relativa alla stagionatura, variabile in base alle caratteristiche che deve possedere il prodotto finito.

TabaccoCerda 03E' incredibile come l'attività di fermentazione sia importante in così tanti aspetti della vita dell'uomo, essa interviene nella trasformazione di pane, pizza, vino, birra e altri alimenti, ma parimenti anche nel tabacco in cui riesce creare profumi e sapori caratteristici. Approfondire l'aspetto microbiologico della fermentazione del tabacco penso potrebbe essere la nuova frontiera del fumo lento e di qualità, esattamente come si è fatto finora con gli alimenti, soprattutto con il vino in cui impiegare il solito Saccharomyces cerevisie oggi non è più un obbligo.

Federico Marino trasmette orgoglioso ed entusiasmo quando parla della piantagione, mentre Giuseppe Scordato la guarda con riverenza e amore, indubbiamente è lui che passa più tempo con le piante poichè segue da vicino l'aspetto agronomico, ma una cosa è certa, entrambi stanno creando qualcosa di unico utilizzando solo le proprie forze, qualcosa che farà parlare di se e della Sicilia, considerando le prime impressioni ricevute da esperti del settore che hanno già visitato la piantagione, come ad esempio Gabriele Zippilli, presente alla visita, impressioni che hanno lodato le particolari caratteristiche organolettiche delle foglie ancora grezze. Inoltre, considerando che in Sicilia è abbastanza facile coltivare in biologico, la piantagione di tabacco visitata è stata condotta senza l'uso di fitofarmaci di sintesi, anche se non è mai stato richiesta la certificazione bio.

TabaccoCerda 04Io stesso ho provato una fumatina "cruda" grazie ad un sigaro "avvoltomi" in modo empirico e veloce da Federico, in cui ho ritrovato al massimo quella parte erbacea dei sigari che in un prodotto finito è ormai molto ridotta. I profumi del tabacco grezzo si potevano sentire già entrando nella stalla adibita a magazzino, erano di the verde, camomilla e vaniglia, ma durante la fumata si sono sprigionati sapori insospettabili sotto una leggera affumicatura sono apparsi quelli che richiamavano vari sapori erbacei, ma anche more e altri frutti di bosco. In tarda mattinata non è mancata anche la mano esperta della sigaraia Mihaela, moglie di Zippilli, che ci ha dimostrato come "avvolgere" un sigaro italiano, oggetto del video da me pubblicato qui di seguito.

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TabaccoCerda 05La visita a cui ho partecipato, era stata inserita in una più ampia manifestazione organizzata dal gruppo Aficionados Cigar Club con la collaborazione di altri gruppi siciliani ed è stata una buona occasione per invitare importanti ospiti come il già citato Gabriele Zippilli di CTS, Compagnia Toscana Sigari, coltivatore e autore del Mastro Tornabuoni, nonchè da Simone El Zap Fazio, ideatore e autore di Cigar Blog... Sigari e Dintorni , importante sito web italiano dedicato al fumo lento ed infine, ospite d'onore, Robert Ibarra, della Tabacalera Ibarra & Hijos, produttore dominicano di origini cubane in tour in Italia in procinto di entrare nel nostro mercato.

Nel pomeriggio, presso la Scogliera Azzurra di Isola Delle Femmine (PA), borgata marinara alle porte di Palermo, gli incontri si sono evoluti con le fumate di un Mastro Tornabuoni e di un Torpedo Don Ibarra, ma questa è un'altra storia che leggerete nel mio prossimo articolo, oppure qui dalla parole di Simone El Zap Fazio.

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Yann Duytsche, un pasticcere francese in Spagna

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CappelloYann 01Con la pasticceria francese all'apice mondiale, un corso con un suo valido esponente, per giunta legato alla Valrhona, leader mondiale del cioccolato, mi ha praticamente obbligato a fare la video intervista e relativo album fotografico. Pertanto, lo scorso 4 Ottobre 2016, mi sono recato presso la Cappello Pastry Academy di Palermo, organizzatrice del corso di cui sopra, per conoscere Yann Duytsche (si legge duitch all'inglese), un pasticcere francese che 12 anni fa ha scelto Valrhona per il cioccolato, la Spagna come seconda casa e Barcellona per aprire la sua pasticceria "Dolc Par".

Durante il corso, Yann si è dimostrato particolarmente cordiale e scherzoso, nulla a che vedere con lo stereotipo del pasticcere francese rigido e serioso, inoltre, parlando almeno tre lingue, francese, spagnolo e italiano, è stato divertente anche dal punto di vista linguistico, facilitando così la mia video-intervista, realizzata tutta in italiano.

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CappelloYann 02Quindi galeotto fu lo zio di Yann, anche lui pasticcere, colui che instillò nel nostro giovanissimo la passione per il difficile lavoro di pastry chef. Yann ha una interessante concezione universalistica della pasticceria, secondo lui quest'arte, con le dovute personalizzazioni locali, alla fine è uguale dappertutto, gli ingredienti son sempre gli stessi. Tra i dolci siciliani, a Yann piace tanto il cannolo, senza nulla togliere a quelli del Maestro Cappello, a saperlo prima lo avrei portato in un posticino a Piana degli Albanesi, poi ama i frutti di mare, molluschi e crostacei sono la sua passione, ma il dolce che preferisce di più mangiare è la Torta Passione, una sua creazione a base di cioccolato caribe 66%, crema di maracuja e pan di spagna sacher, guarda caso tra gli elaborati del corso è quella che mi è piaciuta di più, sicuramente la più equilibrata e con maggiori sfumature gustative, bravo Yann, buon sangue di pasticcere francese non mente!

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A Palermo, il panettone del campione del mondo Fabrizio Donatone

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Donatone 04Con Fabrizio Donatone si completa il team dei campioni del mondo di pasticceria 2015, ospitati quest'anno presso la Cappello Pastry Academy. Il corso sui lievitati tenuto dal Maestro Donatone si è svolto il 17 e 18 Ottobre 2016 e insieme alla consulenza che Fabrizio già da qualche tempo svolge presso una pasticceria catanese, secondo me, ha sancito la nascita di una nuova "scuola del panettone" in Sicilia, ultima arrivata dopo quella di Toti Catanese, apripista del panettone della nostra isola, ma anche di Achille Zoia e Rolando Morandin, grandi lievitisti che hanno diffuso da noi i loro metodi di lavorazione del "dolce più difficile da realizzare", come ama definirlo Iginio Massari, uno dei suoi più grandi interpreti.  Durate il corso si è parlato anche di vaso-cottura applicata al panettone, non affrontando la tecnica, ma sicuramente stuzzicando la mia curiosità. 

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INTERVISTA A EMMANUELE FORCONE
Donatone 03INTERVISTA A FRANCESCO BOCCIA

Donatone 1

La vita professionale di Fabrizio Donatone è stata molto fortunata, perchè poter svolgere dei lavori scaturiti dalle proprie passioni non sempre è realizzabile, egli ha infatti iniziato a frequentare il laboratorio di pasticceria dei suoi zii sin da piccolino e poi, dopo gli studi artistici, ha messo in pratica anche la scultura del ghiaccio e del cioccolato. La sua vera passione è però costituita dai lievitati, amore probabilmente trasmesso da Iginio Massari, uno dei suoi maestri e mentore. Fabrizio è ovviamente attivo anche nel mondo dei concorsi, in particolare, il team che ha vinto la coppa del mondo di pasticceria, è nato dall'amicizia tra lui ed  Emmanuele Forcone, mago della lavorazioni in zucchero, e completato dall'abilità di Francesco Boccia, fuoriclasse del cioccolato. Ovviamente a Fabrizio Donatone piace preparare panettoni, ma anche mangiarli, invece, per quanto riguarda il salato, egli predilige il pesce crudo, i molluschi e i crostacei, insomma, mentre nella pasticceria ha preferito i dolci cotti con l'uso del forno, in luogo dell'ormai dilagante moda di produrre torte con il "freddo", a tavola preferisce non cuocere il pesce! A tutti coloro che desiderano conoscere più approfonditamente Fabrizio, consiglio di guardare la video-intervista che mi ha gentilmente rilasciato alla fine del suo corso palermitano. 

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Donatone 5Il corso è stato realizzato con la collaborazione del Team Massari, Agrimontana e Domori, queste ultime due aziende italiane, guarda caso, sono coinvolte nella produzione dei panettoni tramite i propri ingredienti. Agrimontana è nota per aver da sempre prodotto frutta candita di eccellenza, il segreto risiede nell'impiego di ingredienti freschi, conservati esclusivamente con la tecnica del freddo, scelta selezionando le zone di coltivazione italiane più vocate, infine trasformata impiegando tecniche di lavorazione artigianale senza l'uso di conservanti (solfiti), aromi e coloranti. Agrimontana è quindi sinonimo di qualità, Giuliano Iannone, il suo agente commerciale responsabile per l'area sud, sogna infatti una cassata siciliana in cui finalmente la frutta candita sia "mangiabile", opponendosi all'abitudine di toglierla a causa della sua sgradevolezza. Ovviamente, tutto ciò ha un costo maggiore per il pasticcere, ma in questo caso entra in gioco la mia regoletta: "più costo, ma più resa", in sostanza, spesso pagare di più un ingrediente può corrispondere ad usarne una quantità minore, grazie alla sua complessità e intensità di sapore, abbassando così il costo reale, questo è esattamente il caso dei cubetti di scorza di arancia che ho personalmente assaggiato, potendo così constatare l'esplosione al palato del loro gusto, variegato in uno spettro tipico dell'agrume fresco, ingrediente ideale per i panettoni.

Per quanto riguarda Domori, altro importante nome del cioccolato mondiale, la sua disponibilità ha reso possibile la realizzazione, durante il corso, anche del panettone al cioccolato, in questo caso preparato con l'Arriba Nacional 56%, un tipico caraibico continentale proveniente dall'Equador. I profumi ed i sapori che esso ha sprigionato, morbidi e suadenti, mi hanno ricordato nocciole, amarena, burro ed una leggerissima e fresca acidità. Nonostante la Domori produca esclusivamente cacao fine, come il Criollo e il Trinitario, le due varietà migliori e più rare al mondo, il Nacional in verità è un Forastero, ma è l'unico ad essere iscritto nell'elenco dei cacao fini ed è prodotto esclusivamente in Equador.

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Tutti pazzi per il lievito madre, come e perchè

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LievitoMadre 01Innanzi tutto, vediamo con chi avremo a che fare durante l'esposizione della mia teoria e delle ricerche che ho condotto durante gli ultimi due anni. Il protagonista è il lievito "madre", che in verità dovrebbe chiamarsi "naturale" o meglio ancora "impasto acido", ma che per convenzione continuerò a identificare come "madre" così come fan tutti. Esso ormai sembra diventato la panacea di tutti i mali della lievitazione, innescando dinamiche commerciali spesso ingiustificate, soprattutto nei prezzi, dai prodotti da forno salati fino ad arrivare ai panettoni, prodotto di cui esso è costituente importantissimo. Basta dichiararne l'uso per santificare un prodotto da forno a discapito di tante altre ben più importanti caratteristiche, ormai totalmente trascurate, allora io dico: attenzione, siamo veramente sicuri che il lievito madre sia così straordinario e che sia impiegato correttamente? Complice di questo mio articolo è stata una mia teoria, rivelatasi non corretta, ma giustificata, che però ha fatto emergere una serie di altre informazioni che possono essere molto utili all'uso e comprensione del lievito madre. Ecco quindi i fatti, scientificamente approfonditi grazie alla gentile collaborazione di alcuni professionisti del settore in questione.

LievitoMadre 02Il nostro guest-star invece è il lievito chiamato Saccharomyces cerevisiae, utilizzato da secoli nella fermentazione di vino, birra e nel caso che ci riguarda da vicino nella panificazione. Le sue cellule hanno un diametro di 5-10 micrometri e si moltiplicano (cosa diversa dalla riproduzione che prevede riarrangiamento genico) attraverso un processo di gemmazione, pertanto ogni individuo sarà uguale al suo precedente. Allevarlo è facile, ma in qualità di "eucariote", esso presenta la complessità della struttura interna di piante e animali, in sostanza è uno dei microorganismi più simili al patrimonio genetico dell'uomo, a differenza dei batteri, individui "procarioti", molto più semplici. Il Saccharomyces cerevisiae è allevato industrialmente e poi compresso e commercializzato in cubetti o in forma liofilizzata. I ceppi utilizzati oggi sono particolarmente resistenti, ma hanno pur sempre dei range ambientali ottimali, superati i quali, essi vengono inattivati o peggio muoiono. Il Saccharomyces cerevisiae metabolizza zuccheri in presenza o in assenza di ossigeno, gradisce temperature intorno ai 18-24 gradi, una buona umidità, ma soprattutto un pH neutro-basico, quindi maggiore di 7, comunque non troppo acido. Il nostro lievito è pertanto specializzato nel cibarsi di zuccheri semplici e da questi produrre etanolo ed altri composti alcolici, che poi evaporeranno, soprattutto durante la cottura del nostro impasto, ma anche della preziosa anidride carbonica, un gas che gonfierà i nostri lievitati si spera sempre in modo superbo!

Ricordo a tutti che l'acidità corrisponde ai valori di pH misurati alla temperatura di 25 gradi centigradi come nella seguente tabella: 

  • Acido se il pH è < 7
  • Neutro se il pH è = 7
  • Basico se il pH è > 7.

LievitoMadre 03In seguito alle mie esperienze conseguite con le numerose pizze che ho iniziato a degustare sin dal Gennaio 2013, per via della rubrica Pizza buona si può, mi sono reso conto di quanto in definitiva poco influisca l'uso del lievito madre nella complessità e fragranza di profumi e sapori dell'impasto. Unendo questi miei dubbi sensoriali con l'esperienza maturata in seguito ad un workshop sulla microbiologia dei lieviti svoltosi nel 2011 a cura dell'allora IRVV, Istituto Regionale Vite e Vino oggi IRVOS, nel quale venivano illustrate alcune ricerche comprovanti la contaminazione delle fermentazioni spontanee del mosto da lieviti commerciali, sono arrivato ad elaborare una mia teoria sulla potenziale contaminazione che può avvenire a causa di trasferimento di alcune quantità di Saccharomyces cerevisiae, anche infinitesimali, dall'ambiente di lavoro al lievito madre.

Normalmente, il lievito madre è composto da tanti microorganismi che in competizione o in mutua assistenza, dovrebbero donare quell'insieme di fragranti caratteristiche tanto vantate ad un impasto, dolce o salato che sia. Le reazioni che avvengono all'interno dell'impasto acido, e poi durante il suo uso all'interno dell'impasto finale, sono molto complesse, le colture microbiologiche in esso contenute possono modificarsi repentinamente con una semplice variazione di temperatura o di pH.

LievitoMadre 04Per approfondire i meccanismi che regolano le attività del lievito madre, ho interpellato, in ordine alfabetico, Nicola Francesca, Giancarlo Moschetti e Luca Settanni, docenti e ricercatori di microbiologia presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell'Università di Palermo, è quindi emerso uno scenario del tutto diverso da quello da me ipotizzato, secondo il quale la biodiversità attribuita al lievito madre è stata dimostrata da numerose ricerche scientifiche e grazie a questa, numerose componenti volatili aromatiche caratterizzano veramente l'impasto. Intendiamoci, anche nel lievito di birra commerciale è presente una sorta di biodiversità, ma relativa ai diversi ceppi di Saccharomyces cerevisiae quindi di una sola specie e di un bel po' di batteri lattici. Inoltre, si può affermare che durante il processo di  lievitazione, le azioni condotte dai batteri sono più importanti di quelle dei lieviti, infatti in un lievito madre sano il rapporto tra i primi ed i secondi è di 100:1, condizione ottimale per ottenere i risultati finali migliori. D'altronde, è anche vero che un lievito madre di poco più di 1 mese può svolgere una buona attività e avere una rilevante biodiversità, e quindi trasferire all'impasto delle caratteristiche che possono essere uguali a quelle di un lievito madre di 100 anni! Questo perché l'equilibrio stabile tra le diverse specie microbiche si raggiunge dopo circa 40 giorni.

LievitoMadre 05Approfondendo la mia teoria sulla contaminazione del lievito madre, ho scoperto che essa è sempre all'ordine del giorno, non solo con il Saccharomyces cerevisiae, ma anche e soprattutto con un'infinità di altri lieviti e batteri che vivono nell'ambiente. Quella che io ho chiamato "contaminazione", come specificatomi dal Prof.Moschetti, sarebbe però più corretto indicarla con il termine di cross-contamination è può anche essere propedeutica ad un miglioramento dell'impasto acido, sempre a patto che esso sia mantenuto sano e quindi con il giusto pH, compreso tra 3,8 e 4,4, in sostanza le parole d'ordine sono: "pH acido ed equilibrio microbiologico".

E' invece assolutamente senza fondamento scientifico il mito dell'uso dei vari alimenti caratterizzanti il lievito madre, come ad esempio il famoso sterco o il succo d'uva o altra frutta, essi infatti introducono vere e proprie contaminazioni, spesso deleterie, o addirittura zuccheri che alimentano alcune famiglie di microorganismi andando a pregiudicare l'equilibrio del nostro impasto acido. In sostanza, il disaccaride maltosio alimenta i batteri, mentre gli altri zuccheri sono utilizzati dai lieviti, in base a questa semplice regola sarebbe molto meglio non aggiungere mai nessun tipo di zucchero per non favorire una popolazione a discapito di altre, pertanto bisogna impiegare solo acqua e farina per la generazione e poi per il rinfresco. Se a causa di contaminazioni o per altri motivi il pH dovesse scendere sotto 3,8 le popolazioni microbiche si sbilancerebbero, causando una predominanza dei batteri ed una diminuzione dei lieviti, per fortuna però, in breve tempo le popolazioni stesse concorreranno a ripristinare l'equilibrio, riportandolo ai valori ottimali. Diverso è invece il caso di superamento del limite di pH 4,5, in questo caso avremo una predominanza dei lieviti sui batteri, ad esempio a pH 6 i batteri lattici iniziano a morire, pregiudicando le caratteristiche finali del prodotto da forno che comunque lieviterà, ma non potrà mai avere le stesse caratteristiche di uno preparato con un lievito madre sano, poichè come già detto, durante il processo di lievitazione il ruolo dei vari batteri è più importante di quello dei lieviti.

Ecco una nuova tabellina aggiornata con pH e conseguente variazione della popolazione microbiologica: 

  • pH inferiore a 3,8: progressiva predominanza dei batteri lattici
  • pH tra 3,8 e 4,4: lievito sano con rapporto batteri/lieviti di 100:1
  • pH tra 4,4 e 5: progressiva predominanza dei batteri lattici
  • pH tra 5 e 6: abbassamento del rapporto 100:1 con progressivo aumento dei lieviti

Pertanto, il pH di un impasto raggiungerà al massimo il valore di circa 6, rimanendo quindi sempre nell'ambito acido, ciò è principalmente dovuto alla farina che al massimo è a 6,2, conseguentemente possiamo affermare che non sarà mai neutro ne basico, più avanti nel testo vedremo cosa accade in dettaglio.

LievitoMadre 06Giuseppe Russo, biologo e nutrizionista del Consorzio Gian Pietro Ballatore, ente regionale che si occupa della ricerca scientifica e del monitoraggio della filiera granicola siciliana, da me interpellato in merito, mi ha spiegato, come già detto, che un lievito sano o equilibrato non può soffrire di contaminazione grazie al suo pH corretto di circa 3,8 - 4,4, poichè con questa acidità i microorganismi contenuti nel lievito di birra, come già detto in genere una selezione di ceppi di Saccharomyces cerevisiae, non riescono a sopravvivere, rimanendo sopraffatti dagli altri microorganismi, già presenti nel lievito stesso, dopo solo una manciata di minuti. Questo in realtà è un meccanismo un po' più complesso, ma è comprovato dalle ricerche esposte nei testi appositamente consultati dal Dott. Russo, in cui si illustra come il S.cerevisiae è sensibile al pH acido tipicamente sotto il 4, questa condizione è governata dai cataboliti (prodotti residui della demolizione dei nutrienti da parte di organismi viventi) dei batteri presenti in grande numero nel lievito, sempre con quel famoso rapporto di 100 a 1, i quali producendo acido acetico ed altre sostanze, creano un ambiente acido sfavorevole al Saccharomyces cerevisiae.

LievitoMadre 07Pertanto, come già detto, un lievito madre non in perfetta salute, di solito con pH maggiore di 4,5 quindi con un ambiente favorevole all'attecchimento del Saccharomyces cerevisiae, è da quest'ultimo contaminabile, l'impasto acido si potrebbe pertanto trasformare in una gigantesca coltura di lievito di birra, vanificando tutti i nostri sforzi per nutrire e poi utilizzare un lievito microbicamente complesso come quello che viene comunemente definito madre. In sostanza, riepilogando, al di sopra del pH 7, definito neutro, avrò una condizione basica favorevole al S.cerevisiae, mentre invece, scendendo sotto il 7, man mano che l'impasto acidifica, avrò un'ambiente a lui poco gradito che lo può addirittura portare alla morte. 

Il lievito naturale è da considerare come una sorta di "tamagotchi", per chi non lo sapesse questo era un giochino elettronico "simulatore di vita", di moda in Italia a fine anni '90, in cui un animaletto alieno virtuale andava curato tutti i giorni, alimentandolo, coccolandolo e sgridandolo, proprio come un figlio, anche il lievito madre va regolarmente curato e non è infrequente il caso in cui il suo gestore instauri un rapporto filiale con esso.

Le conclusioni di queste mie ricerche sono sostanzialmente sei:

  1. Il lievito madre effettivamente conferisce al prodotto finale delle caratteristiche organolettiche migliori rispetto alla lievitazione con quello di birra, ma a patto che esso sia stato ben rinfrescato e goda di ottima salute (pH tra 3,8 e 4,4).
  2. La "contaminazione" con il Saccharomyces cerevisiae avviene veramente, però insieme ad esso possono passare anche tante altre specie di batteri e lieviti, ma per fortuna ci viene in aiuto il pH corretto, un lievito sano ha le capacità di riequilibrarsi e quindi di volgere a proprio favore le contaminazioni dall'esterno (cross-contamination).
  3. Vengono radicalmente sfatati due miti: il primo è quello dello sterco di cavallo, o altro caratterizzante, che aggiunto durante la prima preparazione dovrebbe conferire peculiarità organolettiche e di durata miracolose al lievito madre, invece è meglio non aggiungere nulla, poichè si potrebbe pregiudicare l'equilibrio microbiologico dell'impasto acido, la farina contiene già i microrganismi necessari a generare un buon lievito madre, in verità anche l'acqua, ma non possiede batteri lattici, importantissimi nei processi che ci riguardano.
  4. Il secondo mito è quello dell'età del lievito, infatti le popolazioni microbiologiche, purchè in equilibrio, possono godere di grande biodiversità sia dopo 100 anni che dopo 40 giorni dalla prima preparazione di un impasto acido.
  5. Bisogna considerare che è impossibile avere la certezza di possedere un impasto acido sano testandolo solo con un esame olfattivo o gustativo, l'unico modo per essere certi della sua salute è quello di controllarlo con un misuratore di pH, oggi acquistabili con cifre alla portata di tutti.
  6. Pertanto, le scarse differenze tra le pizze lievitate con il "madre" e quelle con il lievito di birra, da me riscontrate a livello organolettico, sono probabilmente dovute al fatto che praticamente quasi tutti fanno uso del cosiddetto "starter", costituito da una piccola aggiunta di lievito di birra, innescando in definitiva una lievitazione con il Saccharomyces cerevisiae, necessario forse a causa di un lievito naturale non sano e quindi bisognoso di aiuto. In questo caso, comunque, un miglioramento si ottiene, ma limitato all'alveolatura, in sostanza è come impiegare una biga, ovvero quello che comunemente viene chiamato "impasto indiretto", con tutto l'apporto dei suoi benefici.

I circa due anni che mi hanno visto impegnato nella raccolta e nello studio delle informazioni su esposte, mi hanno portato a contattare diversi specialisti di microbiologia e del settore gastronomico, pertanto devo ringraziare, in ordine di interpello, il già citato Giuseppe Russo del Consorzio Gian Pietro Ballatore, nonchè l'importante contributo di Nicola Francesca, Giancarlo Moschetti e Luca Settanni, con un grazie particolare a quest'ultimo per l'assistenza prestatami nella stesura dell'articolo, docenti e ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell'Università di Palermo, ma anche tutti coloro che dal fronte della pasticceria e pizzeria mi hanno aiutato a capire meglio sull'argomento: Toty Catanese, pasticcere lievitista, Pino Lo Faso, titolare e pasticcere della Pasticceria Delizia di Bolognetta (PA), Salvatore Cappello, titolare e pasticcere della Pasticceria Cappello di Palermo, Giuseppe Sparacello, titolare e pasticcere della Pasticceria Dolci Tentazioni di Castronovo di Sicilia (PA), Giuseppe D'Angelo, Presidente e Istruttore della Scuola Maestri Pizzaioli Professional di Palermo.

Le foto sono tutte provenienti dall'archivio di CucinArtusi.it 

 

A Capizzi, storie di cani, tartufi, uomini e suini

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TartufoCacciaCapizzi2016 01L'appuntamento tra i boschi di Capizzi (ME), alla ricerca del tartufo siciliano, era stato fissato per il 23 Ottobre 2016, ma le avverse condizioni atmosferiche lo hanno spostato allo scorso 4 Dicembre, periodo non ideale per il prezioso fungo, ma che comunque poteva essere foriero di belle sorprese, così come poi è stato.

L'incontro, organizzato da Nino Parasuco, macellaio del ridente paesino montano, si è svolto con l'indispensabile disponibilità di Peppino Russo, appassionato cavatore e papà del tartufo di Capizzi, da lui casualmente scoperto circa 8 anni fa in una buca scavata da un maiale selvatico, e fautore dell'omonima sagra iniziata nel 2013. Però prima di parlarvi degli uomini, dovrò iniziare dai cani perchè in definitiva, nonostante l'esperienza del cavatore/addestratore, è il naso del cane che fa la differenza ed è lui che lo cava materialmente.

TartufoCacciaCapizzi2016 02Il primo si chiama Briciola, un nome molto comune tra i cani di piccola taglia, infatti il nostro tartufato amico è una meticcia di volpino, acquistata da Peppino Russo nel 2012 è stata sin da subito addestrata al fine di sostituire Jack, il suo primo cane da tartufi, un altro meticcio di volpino. Peppino è convinto che i cani puri di razza non siano i più adatti per la ricerca del prezioso fungo. Oggi Briciola è un cane ricercatore molto esperto e felice di scorrazzare tra i boschi per aiutare il suo amico Peppino a cavar tartufi.

Il secondo protagonista di questa storia si chiama Lilla, un'altra femmina, figlia di Briciola, molto più giocherellona e spensierata, per lei il tartufo è proprio un gioco, ma sta imparando in questi giorni, quella del 4 Dicembre è stata solo la quarta uscita, ma già prolifica, evidente segno della stretta relazione che lega Peppino ai suoi animali. Altri due cani già addestrati non hanno partecipato alla mia gita di "caccia", si tratta di Macchia, un Bracco-Pointer, e di Sheila, sorella di Lilla.

TartufoCacciaCapizzi2016 03Dopo questa doverosa presentazione di quelli che sono stati i cani-cavatori del tartufo di Capizzi, posso passare al loro amico Peppino Russo, descrivendo così un evidente caso di appassionato della natura. Si, perchè Peppino cerca tartufi principalmente perchè amante del contatto con la natura ed è sostenitore e promotore del suo territorio capitino. Negli ultimi anni, Peppino si è dedicato alla coltivazione di molti hobbies, tra i quali figura, oltre a quello della raccolta dei funghi, anche l'allevamento di conigli giganti, la pesca nei laghi e l'allevamento e l'incrocio di galline di varie razze che puntualmente poi lo premiano con delle particolarissime uova dal colore celeste, verde o cioccolato, piuttosto che a bassissimo contenuto di colesterolo.

TartufoCacciaCapizzi2016 04"Suinis in fundo", concedetemi questa licenza "poetica" perchè adesso è arrivato il momento di Nino Parasuco, titolare dell'omonima macelleria. Dovete sapere che a Capizzi, come d'altronde in altre comunità ad economia agricola, l'ho già scritto più di una volta, il suino selvatico, più o meno nero, è di casa, attorno a lui una volta ruotava una vera economia della sopravvivenza in cui esso rappresentava una fonte importante di sostentamento e di cui non si buttava via nulla. Oggi, in parte, è ancora così, è quindi rimasta quest'abitudine ad allevare allo stato semi brado e consumare il suino, ma sempre riconoscendo in esso una funzione fondamentale, ciò ricorda molto il rapporto simbiontico e di rispetto che esisteva tra gli indiani d'America e i bisonti. Ovviamente stiamo parlando di animali, selvatici o in una sorta di "libera cattività", alimentati in modo naturale, spesso con ghiande, come ancora oggi viene effettuato presso l'allevamento di Piazza Armerina (EN) appartenente ai parenti e quindi anche ai fornitori di Nino.

Come ho già scritto diverse volte, a prescindere dalla razza, l'alimentazione in un animale, i cui sottoprodotti o le carni sono destinati al consumo umano, è di fondamentale importanza. Nel caso del suino, già solo praticando un'alimentazione naturale, si riesce ad aumentare la quantità di acidi grassi monoinsaturi, come ad esempio l'acido oleico, si proprio quello dell'olio extravergine d'oliva, e di acidi grassi polinsaturi a volte superando i temibili saturi, come d'altronde dimostrato nel suino nero dei Nebrodi, in seguito al monitoraggio delle razze mediterranee, durante la presentazione dei risultati del Progetto Qubic. In sostanza è come se le carni che potrebbero causare dei danni alla salute, ad esempio con l'aumento del colesterolo, contenessero esse stesse un antidoto e controbilanciassero i propri effetti negativi.

TartufoCacciaCapizzi2016 06Dopo una lauta colazione mattutina di benvenuto offerta e organizzata da Nino Parasuco e denominata "antigelo sul cofano del Pajero", scaturita dalla necessità di contrastare i 6 gradi ambientali di quella giornata e costituita da salumi casalinghi rigorosamente senza conservanti e vino autoprodotto, sono finalmente iniziate le ricerche del tartufo. Durante la "caccia" ho imparato da Peppino Russo che esistono le tartufaie, cioè zone ben definite di bosco in cui si formano determinate varietà di tartufi, essi si riproducono tipicamente ogni anno con pezzature che variano dalla dimensione di una nocciolina del peso di circa 10 grammi, fino all'arancia del peso di circa 350 grammi, almeno in base ai ritrovamenti finora avvenuti.

TartufoCacciaCapizzi2016 07La prima tartufaia visitata è stata quella dell'Uncinatum, una delle varietà più ricercate che è possibile cavare nel territorio di Capizzi. In Sicilia, essendo esso relativamente difficile da trovare, il suo prezzo può arrivare anche a 500-600 Euro al Kg. La seconda tartufaia è stata quella del Brumale, assimilabile più o meno allo stesso valore dell'Uncinatum, ma meno richiesto dal mercato, nonostante le sue caratteristiche organolettiche siano molto simili. Nonostante la distanza e le condizioni scoscese del terreno sono comunque riuscito a registrare qualche secondo di video che vi propongo qui di seguito.

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Durante la ricerca ho visto che in definitiva è il cane che "cava" il tartufo, portandolo poi al suo addestratore, ecco perchè prima ho impiegato il termine cane-cavatore, in sostanza è lui che fa tutto il lavoro, pertanto bisogna cercare di non disturbarlo con rumori o odori, infatti durante la mia gita Peppino andava avanti con i cani ed io, con il resto della compagnia ero al seguito, il problema per me è stato quello di riuscire ad avvicinarmi repentinamente per foto e video prima che il cane prendesse la sua preda! Due sono i maggiori avversari nella ricerca del tartufo, il primo è sicuramente il maiale selvatico, molto ghiotto del fungo sotterraneo, il secondo purtroppo è l'uomo, cioè il cavatore improvvisato, senza rispetto per la natura, che scava e che non copre il buco lasciato, come invece effettua sempre Peppino. Infatti, in caso di buca con ritrovamento, ricoprendola si favorisce il reimpianto delle le spore, questo agevola un'eventuale nuova riproduzione. Il migliore animale cavatore resta però il maiale, difficile da addestrare e vietatissimo in alcune regioni d'Italia per la distruzione del territorio che esso provoca con le sue buche incontrollate.

Nei boschi di quercia e faggio di Capizzi si trovano anche i bianchi Rufum e Oligospermia, non commerciabili, poi il nero Scorzone e il bianco Borchi, cioè il cosiddetto Bianchetto, particolarmente richiesto poichè collocabile subito sotto il bianco pregiato d'Alba, dal prezzo simile o superiore all'Uncinatum. in sostanza in ogni mese dell'anno è possibile cavar tartufi di una o più varietà, i periodi sono i seguenti:

Scorzone: Aprile-Settembre
Uncinatum: Settembre-Gennaio
Brumale: Novembre-Dicembre
Borchi: Gennaio-Maggio

TartufoCacciaCapizzi2016 05Questo è lo scenario in cui mi sono, molto volentieri, calato, un'ambiente condito di tanta genuinità, non solo di alimenti, ma anche di persone come ad esempio Giuseppe Vivaldi, veterinario di Capizzi che ci ha accompagnato durante la caccia al tartufo, piuttosto che di Pippo Zuccarà e Vincenzo Dattolo, i "fuochisti" specialisti in forno e griglia di Nino Parasuco, già conosciuti durante l'ultima sagra, nonchè Pietro Alesi, suocero di Nino detto Zio Pietro e produttore di uno dei migliori vini casalinghi che io abbia mai bevuto. Persone straordinariamente legate al loro territorio, ma talvolta anche portatori di tristi storie di emigrazione, Capizzi è rimasta decimata da questa piaga, ma ogni loro racconto che ho ascoltato, comunque è sempre stato saturo di quell'orgoglio e attaccamento alla propria terra che solo noi siciliani possediamo, e questa caratteristica non c'è Germania o Stati Uniti che ce la possa togliere.

TartufoCacciaCapizzi2016 08La giornata si è quindi conclusa nella "grassonier", si avete letto bene, il nome, scritto alla francese, mi è piaciuto coniarlo per indicare il casolare dotato di tutti i comfort in cui gli uomini della famiglia e gli amici di Nino si riuniscono a gozzovigliare a base di suino, da non confondere con la "garconiere", questo si che è francese, adibita a ben altri svaghi! Qui è stato un crescendo di tagliatelle al tartufo, costatine di maiale, salsicce convenzionali, al tartufo e con la copertina di cotenna, quest'ultima è una particolarità della Macelleria Parasuco, ma anche del quasi scomparso budello di maiale secco all'origano, dal gusto forte e quindi non per tutti i palati.

Pertanto, dopo questa lunga esperienza posso affermare ancora con più convinzione e certezza di prima che il tartufo a Capizzi esiste, ed anche abbondante se si considera che in un territorio di circa mezzo km quadrato in sole due ore ne abbiamo trovati parecchi anche se piccolini, nonostante i cani fossero continuamente disturbati dalle mie incursioni fotografiche.

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Dal Friuli al Lussemburgo, Roberto Beltramini giudice WACS

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Beltramini2016 01Gli eventi dell'A.P.C.P.PA. e del Culinary Team Palermo costituiscono sempre un'ottima occasione per conoscere personaggi importanti della cucina nazionale e internazionale. Grazie alle amicizie del Maestro Giuseppe Giuliano, coach del team e giudice internazionale WACS, stavolta è toccato ad un suo collega di giuria visitare la Sicilia. Roberto Beltramini chef e giudice WACS è stato gradito ospite durante il Natale del Cuoco, svoltosi lo scorso 11 Dicembre 2016 presso le strutture Villeroy Resort e Tenuta Scozzari a Bolognetta (PA). Per me è stato quasi obbligatorio approfittare dell'occasione e video intervistarlo.

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Beltramini2016 02Roberto Beltramini è nato in Lussemburgo in cui oggi vive e lavora, ma la sua famiglia ha origini friulane, infatti i genitori sono stati costretti a trasferirsi a causa di quella piaga chiamata emigrazione che a quanto pare ha colpito non solo il Sud Italia, ma anche il suo Nord. La figura professionalmente più influente per Roberto è sicuramente stato il fratello, più grande di circa 10 anni è grazie a lui che il nostro giudice è passato dalla cucina di mamma, in cui già a pochi anni di età preparava gli gnocchi, agli studi presso l'alberghiero e poi ai concorsi. Oggi Roberto è completamente assorbito dall'insegnamento e dai suoi compiti di giurato, ma aspira ad avere un suo ristorante con pochi coperti e quindi a misura d'uomo, in cui offrire una cucina un po' fusion, a metà strada tra Francia e Italia, con le speziate influenze orientali che a lui piacciono tanto. Il pasto ideale di Roberto Beltramini è costituito da una bella lasagna, un evergreen che piace sempre a tutti, seguito dal un bel piatto di Kaiserschmarrn, un dolce di origini austriache costituito da una sorta di crepe soffiata con uva passa, tagliata e saltata nel burro e infine servita con una composta di mele o mirtilli.

 

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